Politica

Il Cavaliere: subito opposizione dura Forza Italia, scoppia il caso Tremonti

Congresso in autunno, poi partito unico dei moderati. Il ministro minaccia di andare nel gruppo misto se non guiderà i deputati

Adalberto Signore

da Roma

Prima il Consiglio dei ministri a Palazzo Chigi, poi la riunione all’Hilton con i deputati e i senatori di Forza Italia. Con l’emozione per «l’avventura» ormai agli sgoccioli e un caloroso ringraziamento a chi lo ha accompagnato in cinque anni di governo, ma pure con il rammarico di una sconfitta ai punti della quale continua a non darsi pace. Silvio Berlusconi è un misto di sentimenti contrastanti, dall’emozione evidente quando elargisce complimenti a tutti i ministri («abbiamo lavorato bene») alla malcelata amarezza per non essere riuscito in quella rimonta in cui per mesi ha creduto solo lui.
Si tirano le somme a Palazzo Chigi, con gli ormai consueti elogi per il sottosegretario alla presidenza Gianni Letta («senza di lui non so come avrei fatto») ma pure con la convinzione che persa una battaglia la guerra continua. Perché, dice il premier, «nei fatti abbiamo vinto noi». «Sbaglio - chiede ironico a corollario di quella che è ormai una sua convinzione - o più del 50 per cento% degli italiani ha votato per la Casa delle libertà?». E ancora: «Anche per questo a Prodi non farò alcuna telefonata. Eppoi, i sondaggi dicono che se si votasse ora saremmo sei punti avanti con un gradimento nei miei confronti che è oltre il 60 per cento». Con un monito: «I miei sondaggi sono veri, lo hanno dimostrato i fatti». Annuiscono in molti, con il vicepremier Gianfranco Fini che prende la parola e ringrazia Berlusconi «per il suo impegno in questi cinque anni di governo». «È stato un grande condottiero, un punto di riferimento per tutti noi. Insieme - spiega il leader di An - abbiamo fatto un grande lavoro, ora dobbiamo continuare, perché con una opposizione forte metteremo subito in difficoltà il centrosinistra».
Quello che all’inizio era un discorso di commiato, dunque, diventa presto una sorta di chiamata alle armi per il futuro. «Ora - dice Berlusconi - dobbiamo lottare per chiudere la parentesi di Prodi nel più breve tempo possibile». Con l’ennesimo corollario sul voto del 9 aprile, che al premier proprio non è andato giù. «Ho tutta una serie di nuove prove documentate», spiega, in cui vengono confermate le irregolarità delle elezioni. E quindi, aggiunge ribadendo che «le proiezioni del Viminale ci davano in vantaggio per oltre centomila voti», «dobbiamo fare tutte le verifiche necessarie e sollecitare gli organi competenti». Per ora, però, bisogna «prendere atto della situazione», fare «un’opposizione dura» e «non fargli passare nulla al Senato». «Già da domani», chiosa Berlusconi.
Che più tardi, durante la riunione dell’Hilton con deputati e senatori, si spinge anche più in là. Oggi e domani, spiega, «saranno giornate fondamentali». Perché, dice Berlusconi, «se al Senato ce la fa Andreotti, si potrebbe riaprire la partita» e Prodi rischierebbe di non avere l’incarico. Poi, di nuovo sulle irregolarità del voto («cito il caso dell’Emilia Romagna, dove su appena 200 sezioni controllate il riconteggio ci ha dato 1.200 voti in più») ma con la presa d’atto della sconfitta («mi sento il vincitore morale, ma prepariamoci a fare opposizione»). Poi una stoccata agli alleati («non tutti ci hanno creduto») e una all’Udc sulla par condicio («senza avremmo vinto»). Nella riunione sono stati confermati i capigruppo di Camera e Senato, Elio Vito e Renato Schifani. Con strascico polemico di Giulio Tremonti, che nella corsa alla presidenza del gruppo è stato stoppato da Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto e, racconta chi lo ha visto ieri, non ha gradito affatto («dire che era nervoso sarebbe un eufemismo»). Al punto di minacciare di passare nel gruppo misto e da rimandare la scelta tra le circoscrizioni in cui è stato eletto. Una manovra di disturbo che crea tensioni nel partito.


Agli eletti, Berlusconi traccia anche il percorso che seguirà Forza Italia («ora siamo al 30 per cento»): congresso in autunno e, «con gradualità», passaggio al partito unico dei moderati.

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