Roma - Dopo aver «accompagnato» il passaggio di Telecom dalla galassia Pirelli all’orbita della cordata Telefónica-Mediobanca- Intesa, Palazzo Chigi e i satelliti della maggioranza di centrosinistra non intendono tramontare. Ci sono altre questioni da affrontare: dal nuovo management alla gestione della rete fino alle tariffe. E i partiti dell’Unione sono tutti determinati a giocare un ruolo decisivo.
Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, ovviamente ha fatto melina sostenendo la tesi dell’imparzialità. «Ho già detto che il governo non aveva una posizione di scelta tra l’uno o l’altro partner. Hanno scelto coloro che ne avevano la responsabilità e mi meraviglio di alcuni commenti secondo cui il governo avrebbe troppo influito», ha commentato. Con ostinazione ha respinto le accuse di interventismo. «In qualsiasi altro Paese del mondo ci sarebbe stata un’influenza e una presenza molto maggiore. Noi abbiamo scelto una via di grande correttezza e di grande discrezione», ha aggiunto.
Ma se l’evolversi dei fatti ha salvato le apparenze di una normale transazione di mercato, le prossime mosse potrebbero rivelare appieno il volto «pubblicizzatore» del centrosinistra. Anche per questo motivo la Casa delle libertà ha continuato a ripetere che lo Stato non può continuare a influenzare le scelte di Telecom. «Prendiamo atto che tutto si è svolto secondo le logiche tipiche di una dialettica di mercato - ha osservato il coordinatore di Forza Italia, Fabrizio Cicchitto - ma tutto ciò verrebbe platealmente contraddetto qualora Prodi, facendo pressione su qualche banca o su qualche società di assicurazione, puntasse a dettare l’organigramma della nuova Telecom». Anche il capogruppo di An al Senato, Altero Matteoli, ha manifestato gli stessi dubbi. «Ci auguriamo che il governo Prodi non influenzi anche il futuro assetto manageriale della nuova Telecom e la sua gestione», ha detto.
Nelle retrovie si stanno disegnando nuovi scenari. Non è un caso che il centrodestra compatto abbia lanciato un caveat all’esecutivo affinché non si intrometta ulteriormente. «Il governo lasci la responsabilità di ogni decisione sulla rete alla società e ai suoi azionisti», ha dichiarato il capogruppo della Lega Nord alla Camera, Roberto Maroni. «In questa vicenda ci sono state troppe interferenze politiche. E troppi hanno agito per compiacere la politica, certamente non per compiacere i consumatori», gli ha fatto eco il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini. Secondo l’ex ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri, «la condotta del governo è stata di grande danno» allo svolgersi delle trattative. Un buon motivo per mettere in guardia l’alleato Berlusconi: «La sinistra, pur di fargli mollare la politica, gli regalerebbe Telecom con un bel fiocco sopra».
Ma il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, ha fatto orecchie da mercante. «Ho rivendicato al governo la necessità di dettare le regole affinché chi possiede le azioni faccia il bene dei cittadini. Qualsiasi cordata dovrebbe avere un’autorizzazione prima di diventare proprietaria di una rete», ha affermato. Le spagnole Telefónica e Abertis sono avvisate. D’altronde, se i verdi Cento e Bonelli hanno ribadito che «la rete pubblica non può andare in mani straniere», qualcuno a Palazzo Chigi li ascolta.
Quanto al commissario europeo ai Media, Viviane Reding, ha accolto con pieno favore l’operazione.
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