Le celebrazioni dei «Mille» contribuiscono a riscoprire le opere dello scultore Baroni

Chi ci abita, a Quarto, il «monumento» lo vede tutti i giorni, magari nella corsa affannosa dietro al treno. E anche per chi di Priaruggia non è, fa ormai parte dell'immaginario collettivo, luogo inconfondibile di appuntamenti sulla strada che costeggia il mare; senza contare poi che da alcuni anni la scogliera sottostante è il cuore pazzo della movida del levante genovese. Il monumento bronzeo dedicato a Garibaldi e alla spedizione dei Mille, appena restaurato, è più che mai in questi giorni al centro dell'attenzione, in attesa del Presidente Giorgio Napolitano che il 5 maggio, proprio ai piedi degli eroi, darà il via ufficiale alle celebrazioni dei centocinquant'anni dell'Unità d'Italia. Ma chi realizzò questo celebre monumento di corpi aggrovigliati e tesi verso la libertà è per tanti un mistero: Eugenio Baroni, genovese d'elezione, rimase nell'ombra anche quel 5 maggio 1915, quando la sua opera venne inaugurata. Ora, aspettando l'incontro con il Capo dello Stato, si coglie l'occasione per presentare al pubblico un'altra opera pressoché sconosciuta di Baroni, la Tomba nel «Boschetto dei Mille», all'interno del Cimitero di Staglieno. Realizzata in memoria della madre (poi ospiterà le spoglie dello stesso scultore, morto nel 1935), e coeva al Monumento dei Mille, è stata recentemente restaurata da Francesca Saitta sotto l'alta sorveglianza delle due Soprintendenze Liguri - quella per i Beni Architettonici e Paesaggistici e quella per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici - e grazie al finanziamento del Rotary Club Genova San Giorgio. «Finalmente torna alla luce un capolavoro della scultura ligure del Novecento - ha dichiarato Caterina Olcese Spingardi, Spsae - un vero e proprio esempio di ascetismo formale, intenso, drammatico: un linguaggio “moderno”, fatto di linee essenziali concentrate simbolicamente sul volto, sulle mani e sui piedi, che lascia il resto del corpo a forme vaghe e indefinite».


Un'iniziativa che riapre il problema delle tante opere d'arte genovesi abbandonate alla mercé del tempo e degli agenti atmosferici. «Speriamo che questa scelta coraggiosa apra la strada al recupero di altri beni artistici, troppo spesso dimenticati o ignorati, e che rischiamo così di perdere irrimediabilmente».

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