Infinocchiandoci con inalterabile successo da decenni, Adriano Celentano è la prova vivente che il curriculum scolastico non decide niente. Il Molleggiato ha solo la quinta elementare ma è stabilmente uno dei guru filosofici d’Italia. Resta il dilemma se sia bravo lui o fessi noi.
Il paginone che ieri il Corsera, principe dei nostri quotidiani, ha riservato al suo articolo, è senza dubbio un attestato. I titoli anticipavano che Celentano avrebbe riferito - nella forma del botta e risposta - una sua conversazione telefonica con Beppe Grillo sullo stato del Paese sotto il tallone del Cav. La sofferta premessa del direttore Ferruccio de Bortoli - «non sempre siamo d’accordo con lui. Ma la libertà d’artista è sacra» - aumentava abilmente le attese del lettore sui profondi contenuti della sottostante lenzuolata.
Dopo un quarto d’ora di lettura, sballottati tra una frase di Beppe e una replica di Adriano, il primo istinto è stato farsi risarcire da De Bortoli la grave perdita di tempo. Cinquecento righe per niente. Grillo ha esaltato il suo movimento politico Cinque stelle, come fa da anni: novità zero. Tutti e due temono che il Cav possa essere rieletto e si consolano pensando che prima o poi sparirà per ragioni naturali. Celentano nel corso dell’intera telefonata annuncia «un progetto più rock» per l’Italia, poi però riconosce di non avere le idee chiare e rinuncia a enunciarlo. Brillante espediente che gli consentirà di chiedere nuovamente ospitalità a De Bortoli - sempre che Ferruccio sia ancora al timone dopo la cavolata di ieri - appena il suo disegno sull’Italia sarà più definito. Se volete evitare di cascarci di nuovo, non acquistate il Corriere quando siano imminenti: a) l’uscita di un nuovo disco di Celentano; b) un film di cui sia attore o regista o produttore o autore della colonna sonora; 3) una sua trasmissione-evento in tv; 4) un suo libro sui retroscena della trasmissione, del film o del nuovo disco. Questo perché Adriano fa sempre capolino da una parte - giornali (come ieri), dischi, film, tv - per lanciare un’altra parte della sua poliedrica personalità: libro, canzone, trasmissione tv o comparsata cinematografica. È, infatti, il factotum di un’azienda che macina milioni e che ha bisogno di un’accurata gestione pubblicitaria la quale, a sua volta, apporti altri milioni per l’espansione dell’azienda medesima. Insomma, il classico lombardo che trasforma in danè ogni fibra del suo repertorio: dall’indubbio talento musicale alla fasulla propensione profetico-moralizzatrice.
Il ragazzo della Via Gluck è nato 73 anni fa in quella strada milanese. Conclusi a undici anni gli studi, fece l’orologiaio. Dall’esperienza gli deriva il gusto per i marchingegni già detti che ha utilizzato per moltiplicare le sue fortune. Divenne famoso con le canzoni rock’n’roll e l’imitazione di Jerry Lewis, celeberrimo svitato americano. In realtà, due destini contrapposti: Lewis presenta Telethon nella tv Usa per beneficenza; Adriano per mostrarsi in tv, svena la Rai. Da marmittone, a 22 anni, era già così importante da ottenere l’autorizzazione a partecipare al Festival di Sanremo, direttamente dal ministro della Difesa, Andreotti.
Fin dall’inizio, Celentano adottò lo stile svampito. Voce stridula alla Jerry Lewis, gesti acrobatici da cercopiteco, espressione facciale da ricovero immediato. Agli esordi parlava a mitraglietta, dicendo stupidaggini. Oggi frammezza monosillabi, sguardi nel vuoto e lunghe pause, con lo stesso risultato. Quest’aria da allocco è stata la sua fortuna. Poiché sembrava troppo stupido, la gente ha cominciato a pensare che dietro l’idiozia ci fosse della saggezza. I silenzi, invece che per buchi cerebrali, sono stati presi per vaticini. Così molti hanno cominciato a pendere dalle sue labbra e a scambiare il nulla per un quid inafferrabile.
Stando a quanto ha raccontato, Adriano ha scoperto la fede a 20 anni e si considera un combattente per l’ambiente e per Cristo. È anche animalista e vegetariano. Per anni, prima di capire che si agita solo per l’azienda che incarna, i ragazzi di Cl lo hanno considerato uno dei loro.
L’opera di Celentano è piena di idee politicamente corrette. A esse è rimasto fedele negli anni. Una delle sue canzoni più belle, Il ragazzo della Via Gluck (1966), già affrontava i temi della speculazione edilizia negli stessi termini in cui ne parla oggi. Ricordate, il nostalgico che rimpiange il prato verde dell’infanzia inghiottito dai palazzinari? Il suo dolore suscitò due reazioni: quella di Pasolini che voleva trarne un film (che non fece) e quella di Gaber che compose una canzone a rovescio - La risposta al ragazzo della Via Gluck - in cui un giovanotto, per colpa degli ecologisti che abbattevano case per creare prati, non riusciva ad accasarsi. Sulla stessa linea Un albero di trenta piani, in cui Adriano bolla il grattacielo Pirelli, sede della Regione lombarda, come simbolo di cementificazione. Nell’articolo di ieri sul Corsera, Celentano usa dopo 40 anni gli stessi toni da crociato contro i programmi edilizi dell’Expo.
Sono all’opera - dice - «i grandi devastatori di ciò che era la nostra bella Italia. Basta dare un’occhiata alle orripilanti ferite MORTALI che i genitori di Frankenstein (sindaco Moratti e Formigoni) hanno inferto a Milano. La stanno DISSANGUANDO con la scusa di fare case per la gente, ma in verità sono eleganti loculi tombali... dove moriranno di CANCRO». E conclude definendo il tutto, «CAMPI DI STERMINIO».
Nel suo repertorio ci sono anche altri temi cari ai radical chic: i cibi transgenici da vietare, la caccia da abolire, Berlusconi da estirpare. Essendo da anni schierato a sinistra, i suoi compagni di strada sono ormai Grillo, Di Pietro, Vendola, Dario Fo e simili. I bersagli, il Cav & soci. Credo che queste appartenenze abbastanza recenti siano opportunistiche: essere in, smerciarsi meglio, fare clamore in tv con proficuo contorno di polemiche e grancassa.
Quando invece c’era la Dc al potere, Adriano passava per baciapile. Con la Coppia più bella del mondo, del 1967 - inno all’amore matrimoniale -, entrò nel mirino dei laici e fu accusato di antidivorzismo. Quando uscì Chi non lavora non fa l’amore (1970) i giovani, avvolti nei fumi sessantottini, lo bollarono come reazionario.
Idem col long playing I mali del secolo (droga e crisi della famiglia, ndr), del 1972. Un’altra volta se la prese con la transessualità. Allora, lo applaudirono chierici e beghine. Oggi, lo idolatrano rossi, verdi, viola. L’importante è esserci e vendere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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