Celentano, l’ultimo tribuno

Arturo Gismondi

Ferdinando Adornato, a proposito delle polemiche nate dal «caso Celentano» ha invitato a distinguere, su queste colonne, fra egemonia culturale in senso proprio, e occupazione degli spazi e degli strumenti culturali da parte della sinistra. Nel primo caso, nella battaglia delle idee, sostiene Adornato, la sinistra è irrimediabilmente sconfitta per la caduta di tutti i miti che ne hanno alimentato l’egemonia passata. E si tratta di un risultato inevitabile dinanzi al crollo dei regimi comunisti in tutta Europa, e alla fine dei miti, dittatura o egemonia del proletariato, il socialismo come mondo della libertà, e il resto.
Diverso è il discorso per quel che riguarda la presenza, l’occupazione, l’uso degli strumenti culturali, degli apparati soprattutto pubblici nel mondo dell’informazione, del cinema, dello spettacolo della scuola. Sono in questo d’accordo con Adornato, non lo sono altrettanto con le osservazioni di altri, che sull’argomento contestano alla Casa delle libertà di non aver saputo contrapporre, soprattutto nella Rai, una presenza della cultura di centrodestra al predominio e alle presenze della sinistra.
Sembra a me perfettamente naturale che così sia. La cultura moderata, essenzialmente liberale, non rappresenta una entità compatta, gregaria, disponibile alla mobilitazione come è quella dell’attuale sinistra che ha per gran parte una radice marxista, comunista o post-comunista. Nella storia del liberalismo italiano non è apparso, né lo poteva, un personaggio come Antonio Gramsci. Ed è estraneo alla cultura liberale il mito del partito come «moderno principe», protettore e organizzatore della cultura e delle arti. Antonio Gramsci intuì con indubbia acutezza la esistenza, nelle società capitalistiche dell’Occidente, accanto al potere politico, e a quello economico, di quelle che definì «le casematte della cultura», e della società nella sua autonomia, delle quali auspicò l’occupazione sostituendo all’idea della «dittatura del proletariato», predicata da Lenin e poi da Stalin, la «egemonia della classe operaia» e del suo partito, una variante meno ostica di quella esistente in Urss, da spendere nei Paesi più avanzati. E infatti Gramsci fu studiato con interesse dagli intellettuali comunisti, o di sinistra, in Europa e in altri Paesi capitalistici.
Togliatti non tardò a farsi, della analisi gramsciana della società e della cultura, un valido apostolo. E dunque, l’occupazione delle «casematte» gramsciane è cosa di lunga lena, è il prodotto di una ideologia che i gruppi dirigenti della sinistra hanno trasmesso nei decenni agli attuali «intellettuali organici». Che non sono più i grandi intellettuali del dopoguerra, i Concetto Marchesi, i Guttuso, i Flora, i Luporini, i Muscetta. Sono, invece, i conduttori Tv in veste di tribuni, sono attori, cantanti, comici e satirici, giornalisti, usati senza risparmio, e con loro soddisfazione, in veste di imbonitori, o di giullari, o di spietati accusatori contro i delitti dell’intero mondo, quello liberale, borghese e occidentale di preferenza.
Non sono, tutti costoro, intellettuali in grado di conquistare una egemonia culturale, di imporre idee sulle sorti e sul governo di una società avanzata. La sinistra post-comunista in effetti vaga alla ricerca di ispirazioni, di politiche, eleggendo a turno i modelli più vari, i Kennedy, i Willy Brandt, il comandante Marcos e Lula, Blair, Zapatero, nei quali di volta in volta gli attuali dirigenti politici e gli «intellettuali organici» cercano idee, motivi di ispirazione, e un fascino magari erroneo ma perduto, del passato
Gli attuali «intellettuali organici» che occupano la scena mediatica non sono in grado di detenere egemonie perdute, sono però in grado di battere la grancassa, di costruire quel consenso frutto di un luogo comune, di una sub-cultura (si parla oggi di politically correct) che serve alla attuale sinistra per perpetuare una sua base di consenso e un potere politico. Su questo tema ha usato parole assai appropriate Cristiano Gatti.
Dal percorso della sinistra post-comunista appare chiaro che nessuno può logicamente chiedere a partiti, alleanze e culture moderate e liberali quel che si chiede a partiti, alleanze, culture di natura tanto diversa.

Il compito di una cultura liberale è diverso, e sulle sue possibilità non sarei così pessimista, poiché alla fine il comunismo è pur tramontato, in Europa. E in Italia deve rifugiarsi dietro la faccia di Prodi, o farsi rappresentare da Celentano e da Sabina Guzzanti.
a.gismondi@tin.it

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