Le cene elettorali che imbarazzano la sinistra Gli imprenditori: «Costretti a pagare per loro»

Ecco le confessioni degli imprenditori campani «costretti» dal presidente dell’Autorità portuale di Napoli, Francesco Nerli, a versare «contributi volontari» dai 5 ai 25mila euro per pagare le cene elettorali di Massimo D’Alema, Piero Fassino e Antonio Bassolino. L’inchiesta vede Nerli indagato per concussione. Secondo la procura, chi effettuava le dazioni di denaro (regolarmente iscritte a bilancio dai Ds) si vedeva costretto a metter mano al portafogli per non incappare in probabili controversie legate alle concessioni e ai controlli nel perimetro portuale. Insomma, si pagava per non avere problemi. E così, quando la segretaria di Nerli invitava a partecipare economicamente a una cena, tutti si dicevano d’accordo. Anche se alla cena poi non andavano, anche se con i Ds non avevano nulla a che fare.
Antonio Palumbo, legale rappresentante della «Palumbo Spa», a cui si riferiscono contributi per 15mila euro, spiega: «Circa un paio d’anni fa venni chiamato dalla segretaria dell’Autorità portuale che disse di una cena organizzata in un ristorante, di cui non ricordo il nome perché non vi andai. Mi spiegò che si trattava di una cena elettorale di sostegno ai Ds. La segretaria mi disse che era gradito che gli invitati comprassero una sorta di ticket ciascuno di un centinaio di euro. A fronte della richiesta della segretaria, non mi sono sentito di sottrarmi e del resto nel porto lo fanno tutti, certo io non potevo essere l’unico a non farlo».
Alberto Scotti, della Technital, conferma: «Perché ho deciso di pagare 15mila euro per una cena a cui non sono andato? Rispondo che ho ritenuto di fare gli interessi della mia impresa assecondando questa richiesta, certo. Non sono attivista politico, dunque il finanziamento non è stato da me erogato per ragioni ideali. A queste cene si aderisce perché capiamo che sarebbe controproducente assumere un atteggiamento negativo e ostile». Non è da meno Nicola De Luca, legale rappresentante della «Servizi Integrati»: «Per mantenere buoni rapporti con l’ente con cui uno lavora, per una forma di consuetudine, si è comunque indotti a esaudire tali richieste». Marco Di Stefano della «Sispi», invece la mette così: «Pur non essendo un militante del partito, ritenni di aderire alla richiesta. Pagai 10mila euro, costo minimo del biglietto per partecipare al cocktail. Prima diedi altri 2.500 euro ai Ds, e in quel caso attinsi ai miei fondi personali e sempre con garbo mi fu rappresentato che si trattava di partecipare a una cena per dare un contributo alle spese che avrebbero dovuto sostenere i Ds per chiudere delle sedi non più operative dopo la creazione del Pd». E infine Erik Klingeberg della «Magazzini Generali»: «I 10mila euro? Un contributo elettorale.

Quella stessa sera si teneva un’altra cena a cui partecipava l’onorevole Fini. Mi chiesi divertito se era il caso di mangiarmi la bistecca di destra o quella di sinistra, alla fine giunsi alla conclusione di non mangiare nessuna delle due, non andando a cena».

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