Non è un evento isolato e nemmeno casuale. Più verosimilmente, lo scontro tra la Cina e Google rappresenta lavvio di un nuovo scenario geopolitico.
Innanzitutto i fatti di giornata: il più famoso motore di ricerca ieri ha tolto i filtri e dunque i cinesi possono vedere immagini come quella delluomo che bloccò il carro armato sulla Piazza Tienanmen o conoscere finalmente le opinioni del Dalai Lama sul Tibet. Il governo di Pechino per ora lascia fare, ma precisa che sono benvenute solo le società rispettose della legge. Lepilogo appare scontato: google.cn è destinata a scomparire dai monitor della Repubblica popolare. Non a caso il rivale cinese della società statunitense, il motore di ricerca Baidu, ieri al Nasdaq è schizzata del 13.7%. Tutto questo mentre Yahoo denuncia di essere stata vittima di attacchi da parte di hacker, sempre cinesi, analoghi a quelli lanciati recentemente contro alcune caselle di posta elettronica di Gmail.
La cronaca finisce qui, ma per capire limportanza della crisi innescata da Google bisogna considerare il contesto in cui sono maturati. Fino a un mese fa Cina e Stati Uniti sembravano aver consolidato lequilibrio che caratterizza da un decennio i loro rapporti. Gli americani chiudevano un occhio sulla violazione dei diritti umani e le loro multinazionali continuavano a fabbricare oltre Pacifico, contribuendo allo sviluppo delleconomia locale. I cinesi si sdebitavano comprando a mani basse i Buoni del Tesoro che consentivano a Washington di finanziare il suo ingente debito pubblico. Intanto Pechino ampliava, con molta discrezione, la propria influenza in Africa, in Asia, persino nellAmerica latina, siglando accordi di cooperazione con Paesi ricchi di materie prime. Una politica che la Casa Bianca non ha mai gradito, ma che era costretta ad accettare proprio perché sotto ricatto finanziario. In questo contesto la continuità tra Bush e Obama appariva assoluta.
Con il nuovo anno, però, latteggiamento americano è cambiato. Washington ha venduto armi a Taiwan, infischiandosene delle rimostranze di Hu Jintao. La notizia più importante degli ultimi giorni è quella già trapelata sulla stampa statunitense e che verrà ufficializzata la prossima settimana, quando Hillary Clinton annuncerà una nuova «politica tecnologica» per aiutare i cittadini di altri Paesi ad avere accesso a Internet senza censure. E quali sono quelli che oggi limitano la Rete? Innanzitutto la Cina, lIran, la Corea del Nord; ovvero tre nemici degli americani. Il riferimento, implicito, a Teheran e a Pyongyang non sorprende, quello a Pechino sì. È rivoluzionario.
Conoscendo questo antefatto la mossa di Google assume un altro significato. Perché il motore di ricerca dopo aver accettato per anni le condizioni imposte dai cinesi, improvvisamente si ribella alla censura? Semplice esasperazione per gli attacchi degli hacker alle caselle di Gmail di dissidenti cinesi? Irrefrenabile amore per la libertà? Cè da dubitarne, anche perché rischia di dover rinunciare al più grande mercato al mondo.
Ma il fondatore di Google, Eric Schmidt, è grande amico di Barack Obama; durante la campagna elettorale lo ha finanziato generosamente ed è diventato suo consigliere, seppur informalmente. I legami, insomma, sono strettissimi.
È inverosimile che Google abbia deciso di sfidare Pechino senza aver concordato la mossa con la Casa Bianca. Infatti il portavoce di Obama, Robert Gibbs, ha annunciato che «il presidente appoggia una Rete libera in Cina», confermando che la società californiana si è consultata preventivamente con Washington. E ieri si è alzato quello che gli esperti di comunicazione chiamano «rumore mediatico». Lo speaker della Camera Nancy Pelosi ha dichiarato di appoggiare incondizionatamente Google, il ministro al Commercio Gary Locke ha affermato che lintrusione del governo cinese «è inquietante sia per il governo che per le società americane» e lo ha invitato «a collaborare per garantire operazioni commerciali sicure in Cina».
E tra poco Obama riceverà il Dalai Lama. I Wow rischiano di essere tanti se Washington ha deciso, come pare, di contrapporsi alla Cina.
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