Censurato il documentario che imbarazza le coop rosse

Polemica: il sindaco della capitale emiliana degli allevamenti di maiali blocca la proiezione di una video-inchiesta sulle infiltrazioni dei clan nei macelli gestiti dalle cooperative

Censurato il documentario 
che imbarazza le coop rosse

Il maiale di bronzo sta in piazza, sotto un caldo che potrebbe quasi scioglierlo. È il monumento che celebra i sapori e le glorie della più opulenta produzione locale, come peraltro risulta anche dal Guinness dei primati, con quello zampone da 750 chili squartato e divorato spietatamente nella sagra ai primi di dicembre. Castelnuovo Rangone è tutto questo: tredicimila abitanti, una sfilza di salumifici, tante cooperative che lavorano nella filiera del buongusto, dalla povera bestia fino all'insaccato di pregio.

In questi giorni, però, anche il sindaco democratico Roberto Alperoli è accusato d'avere faccia di bronzo, come il venerato monumento che rende leggendaria la piazza. Grande gesto, il suo (del sindaco, non del maiale): ha imposto a Libera, l'associazione di don Ciotti contro tutte le mafie che tiene in zona la festa nazionale, di tagliare il programma della serata inaugurale. Casualmente, la grande apertura del 30 giugno proponeva il documentario "Il paese del maiale", di Ruben Oliva e Matteo Scanni. Inutile dire che il paese del maiale al centro del film-inchiesta è Castelnuovo. Se ne racconta l'epopea da una visuale un poco diversa da quella godereccia del mega-zampone e del monumento al maiale. Si svela l'altra faccia della medaglia. Partendo dall'omicidio di un lavoratore marocchino in un salumificio, si viaggia senza giri di parole nel cupo mondo delle mafie, del caporalato, dello sfruttamento. Per dire: il marocchino ucciso voleva rivelare pubblicamente come i mitici prosciutti venissero puntualmente contraffatti, mettendo il marchio di qualità su prodotti scadenti.

Ovvio: una denuncia sul mondo delle innumerevoli coop, che qui forniscono mano d'opera e facchinaggio senza andare tanto per il sottile, a questo sindaco non poteva e non può risultare simpatica. Ma tra il legittimo imbarazzo e la censura stalinista c'è pur sempre una certa differenza. Niente. Non importa. Il sindaco ha scelto la sede giusta per calare la mannaia: dentro il parlamentino dell'Unione Terre dei Castelli, comprensorio che ospita la festa. Oltre a Castelnuovo, contiene Castelvetro, Vignola, Savignano e Spilamberto. Così il primo cittadino ha spiegato il suo "non ci sto" ai colleghi: "l film riporta un'immagine univoca e lesiva del mio Comune: sembra un paesino dove vivono solo mafiosi. Con questa scelta difendo i miei cittadini".

Qualcuno gli ha fatto subito presente che il film non nasce oggi, ma nel 2006. Allora fu proiettato da Raitre ad un'ora improbabile di un'improbabile e afosa nottata d'estate, ma subito si notò come comunque il sindaco fosse presente nel film stesso, con una breve intervista. Replica seccata: "Conosco i problemi di Castelnuovo, ma bisogna parlarne in un certo modo, non nei tre minuti che mi hanno concesso nel film. Mi fanno sembrare un povero idiota...". Lui lo dice, nessuno si permetterebbe.

Per tutta questa serie di motivi, film al rogo e serata inaugurale disintegrata. È la democrazia. È il sano gusto del confronto sereno, franco e leale. Senza pregiudizi, senza ombre e senza timori... L'avvocato Vittorio Giovanardi, consigliere comunale in una lista civica di estrazione polista, coltiva evidentemente un'altra idea: "Guardi, quando il film uscì, due anni fa, fummo i primi a chiedere conto al sindaco. Davvero ci sembrava che il documentario fosse un po' impietoso con il paese, ci sembrò giusto almeno obiettare. Allora, però, tutti zitti. Adesso, improvvisamente, la censura prepotente. Chiedo semplicemente: perché? Da come la vedo io, questa con don Ciotti era l'occasione d'oro per ripristinare un po' di verità. Io avrei invitato anche i registi del film. Per confrontarci, per fare un po' di contraddittorio. Come usa in democrazia, o no?".

Di solito, sì. Ma dove la democrazia è un po' sbilanciata verso un lato, si fa prima. Si taglia. E basta con le discussioni. Questa è l'Emilia della democrazia grassa, con il 70 per cento che pesa da una parte sola. E in quella parte, il peso pesa.
Purtroppo, in tutte queste situazioni vagamente grottesche, emerge sempre e immancabilmente anche il gusto del paradosso. Proprio la sera successiva alla serata oscurata, il primo luglio, è in programma un dotto incontro dal tema solenne: "Quale informazione per parlare di mafia". Appunto: quale informazione. Una sua soluzione, questo sindaco, la getta tempestivamente sul tavolo del dibattito: basta non parlarne. Nessuna informazione, nessuna mafia.

Il 4 luglio toccherà poi a un altro libero docente di democrazia definire con più precisione la questione: persino qui, come no, è atteso Marco Travaglio (proposta per una prossima serata: "Ma Travaglio, una casa dove passare una

serata in famiglia, non ce l'ha?"). Anche in questa occasione parlerà del suo libro al vetriolo, "Se li conosci li eviti". Sotto gli occhi severi del maiale di bronzo, stavolta però farà meglio a specificare chi sono.

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