Cent’anni di Moratti l’uomo che nel petrolio trovò la grande Inter

Oggi, cinque novembre del Duemilaenove, Angelo Moratti compie cento anni. Lo festeggiano amici, parenti, tifosi tutti. Impossibile pensare diversamente. La memoria è un giocattolo pericoloso, cento anni fa partiva il Giro d’Italia, il primo. Erano otto le tappe, pedalavano di notte e arrivavano quando ormai era già pomeriggio, da Milano a Bologna i chilometri erano trecentonovantasette. Un mercoledì d’inverno, il farmacista Albino venne informato che la Gilda, sua moglie, aveva finalmente partorito il pupo; doveva essere così bello che lo chiamarono Angelo, un po’ di romanticume non guasta. Forse, da bambino, l’Angelo recitava le poesie in piedi, il giorno di Natale, ricevendo in dono una moneta. Certe cose accadono soltanto nelle favole. Di sicuro Angelo Moratti ha voluto che i figli e i nipoti così facessero, imparando a memoria le parole, annunciando, impettiti, il titolo della poesia e la ricompensa era un marengo prezioso, veniva fuori dalla tasca della sua giacca e la festa era grande.
Ma ci fu un Natale imprevisto e un nipotino dalla testa calda, si chiama Fabrice il giovane, vive in America, ed è un musicista eccelso andato sposo a una bellissima bionda pugliese, un giorno, dicevo, quel moccioso si rifiutò di recitare a memoria «non sono una scimmietta, non declamo così tanto per declamare». Angelo Moratti, di solito, teneva lo sguardo basso, poteva essere l’avviso di tempesta. Poi alzava il volto e i suoi occhi sapevano fulminare con il silenzio. Fabrice, il ribelle, temette il peggio, dopo il silenzio la risata del nonno lo rassicurò, il marengo d’oro brillò tra le sue mani. Ogni tanto facevano colazione insieme e il nonno chiedeva informazioni su quanto fossero buoni gli hamburger americani, come se lui fosse costretto a ingoiare minestrone, polenta e riso. No, il riso no, i chicchi gli si fermavano in gola, era un tormento, un lumbard che non può mangiare il risotto, rob de matt.
Cento anni non sono tanti. Vanno via tra le guerre, due e pure mondiali, trascorrono con la famiglia che cresce, si gonfia, si allarga, già le zie erano sette e tutte suore, si doveva prevedere che qualcuno del gruppo provasse altri itinerari meno celestiali. Erminia Cremonesi, telefonista alla Stipel, è la dolce, splendida compagna di questo secolo, Adriana il primo regalo, poi Gianmarco, Maria Rosa che non riesce a pronunciare bene il proprio nome, balbetta, mormora, ne viene fuori quel Bedy che si porta ancora appresso, e poi Massimo e Gioia e l’affiliato Natalino. I Moratti, detto così al plurale, una dinastia dunque, ma sopra tutti, innanzitutto c’è Angelo, un uomo solo al comando, non certo solitario. Somma Lombardo è stata la stazione di partenza del viaggio, poi Roma, Milano e altre mille porti e città, biglietti da mille, milioni, miliardi, vita dolce e dolce vita senza strafare, esibire, bausciare. Un giorno Giuseppe detto Peppino, Prisco, disse che l’Angelo Moratti è stato l’unico petroliere, in circolazione, a lavorare senza avere mai ricevuto una comunicazione giudiziaria. Era già un bel vivere.
L’Inter poi, cioè tutto o quasi. Grande e grandiosa, beneamata la battezzò Gianni Brera e Oriana Fallaci intervistava Herrera, quello di «taca la bala» mentre un tifoso gli urlava «tachèt al tram», un amore di squadra per Angelo Moratti che l’ha assunta alle proprie dipendenze un sabato di maggio, il giorno ventotto del Cinquantacinque, in contemporanea alla Scala, cantava Maria Callas, era la Traviata. Il Moratti aveva deciso di occuparsi del folber, andava allo stadio e aveva subito il contagio dalla lady Erminia. Spense una delle duemila sigarette, fece due conti veloci, le raffinerie andavano che era un piacere, il mercato del petrolio tirava, in cambio di cento milioni si comprò il pallone e tutti i calciatori, dal Masseroni. Registro come, al tempo, il fatto venne riportato da Il Calcio e il Ciclismo Illustrato, in data 2 giugno del Cinquantacinque: «Avvenuto all’Inter il cambio della guardia. Tambureggianti applausi dell’Assemblea nerazzurra hanno accolto i tre punti del programma del nuovo presidente Moratti». Non posso immaginare i tamburi ma gli applausi sì. Quelli di oggi, ma meno fragorosi e volgari. Angelo Moratti non poteva prevedere che, qualche decennio dopo, tra telefonini cellulari, diritti televisivi, sponsor, decoder, digitale terrestre, zona mista, ripartenze, quattrotretrè, special one e affini, si sarebbe celebrato il suo compleanno, con l’Inter ancora e sempre in testa a tutte le compagne di avventura.

Sono cose della vita, come gli scudetti, le coppe, europee e mondiali, la crisi petrolifera, gli scandali, gli strilli e gli insulti, l’incenso e il fango, gli anni che scivolano via e non te ne accorgi perché tutto corre veloce, troppo veloce. Fino al giorno in cui qualcuno si avvicina e ti sussurra: sono cento, cavaliere, cento. Spenga la sigaretta, c’è ancora tempo per recitare una poesia e di veder luccicare un marengo d’oro. Il resto è nulla.

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