Economia

Centrale Latte Roma, annullata dopo 12 anni la vendita a Cirio

RomaCi sono volute nove sentenze per scrivere la parola fine sull’intricata vicenda della vendita della Centrale del Latte di Roma, un pasticcio della giunta Rutelli poi trascinato da quella Veltroni, che diede il via a speculazioni finanziarie e scambi di favori, sui quali ha indagato anche la magistratura. Il Consiglio di Stato, con una sentenza di 52 pagine pubblicata ieri, ha dichiarato nullo il contratto di vendita con cui il Comune di Roma nel 1998 cedette il 75 per cento della Centrale del Latte alla Cirio di Sergio Cragnotti, quota rivenduta un anno più tardi alla Parmalat di Callisto Tanzi nonostante le clausole della procedura seguita proibissero all’acquirente di farlo prima di cinque anni. Eppure il Comune di Roma aveva avallato l’operazione sottoscrivendo con le due società una transazione che prevedeva l’incameramento di un modesto indennizzo nelle casse municipali. Per i giudici amministrativi, invece, la transazione è nulla perché sono state violate «norme imperative e perché ha ad oggetto diritti indisponibili».
Il Campidoglio dovrà risarcire la Ariete Latte Sano per decine di milioni di euro. La cifra esatta non è stata quantificata. Spetta ora al Comune, rileva il Consiglio di Stato, formulare entro sessanta giorni una proposta di indennizzo del danno, che il Tar aveva già indicato pari al 5 per cento degli utili netti di bilancio conseguiti dalla ricorrente nel 2000. La somma, sottolineano nella sentenza i giudici amministrativi, dovrà essere «pari all’importo complessivo delle spese sostenute per partecipare alla gara e all’equivalente al rafforzamento nel mercato del latte dei concorrenti ed al danno all’immagine per riduzione del prestigio presso i consumatori». Dovranno anche essere tenuti in considerazione gli eventuali «riflessi ecomomici negativi sopportati dall’appellata per effetto della concentrazione in capo a Parmalat della partecipazione azionaria di maggioranza della Centrale del Latte già detenuta da Cirio, con conseguente sfruttamento delle potenzialità produttive e commerciali dell’azienda ceduta, quali per esempio una perdita di quote di mercato, maggiori costi nella commercializzazione dei prodotti, perdita del valore del marchio».
Una battaglia legale infinita, cominciata nel 2000 quando la Ariete Fattoria Latte Sano presenta ricorso al Tar per ottenere l’annullamento della gara con cui Cirio, nel 1998, si era aggiudicato per circa 80 miliardi l’azienda capitolina.
La piccola società attiva nel settore lattiero-caseario che aveva partecipato senza successo alla procedura di privatizzazione aveva diffidato il Comune sostenendo la nullità della doppia vendita e della transazione per violazione delle norme imperative che presiedevano allo svolgimento della procedura, in particolare quelle che garantivano la «par condicio» tra i concorrenti e vietavano, dopo la vendita, la rinegoziazione delle clausole osservate sia dal Comune che dalle società che aspiravano ad acquistare il pacchetto azionario. Il Comune aveva ignorato la diffida e la Ariete Latte Sano aveva dato il via ad un contenzioso contro l’amministrazione comunale, la Cirio e la Parmalat andato avanti per oltre dieci anni. Fino alla sentenza che gli ha dato definitivamente ragione. «La pronuncia del Consiglio di Stato - commentano gli avvocati Mario Sanino, Francesco Luigi Braschi e Riccardo Arbib - fa sperare, finalmente, nella conclusione della lunghissima controversia. I giudici di Palazzo Spada, fatti propri i rilievi della Cassazione, hanno infatti preso atto che la vendita a Parmalat e la successiva transazione sono nulle per violazione delle regole fissate per la privatizzazione, in quanto norme imperative e, come tali, inderogabili a garanzia del pubblico interesse e della legittimità della procedura, e ne hanno doverosamente tratto tutte le conseguenze del caso.

Si torna in definitiva all’assetto già deciso dal Tar nel 2007: la Centrale del Latte è nuovamente nelle mani del Comune, che dovrà rifondere i danni all’Ariete Latte Sano sulla base dei criteri già stabiliti dal Tar e ulteriormente precisati dal Consiglio di Stato, e definire se avviare o meno una nuova procedura di privatizzazione».

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