«Il centro sono solo io» Poi l’ago della bilancia si è perso nel pagliaio

Ricorrere al vecchio, ma non frusto aforisma di Giulio Andreotti è quasi d’obbligo nell’assistere agli annaspamenti di Pier Ferdinando Casini: il potere logora chi non ce l’ha. Ha anche avuto sfortuna, Casini: troppe cose bollono in pentola, troppi personaggi attirano su di sé, nel bene come nel male, la luce dei riflettori distogliendola dal suo energico e pensoso volto. Fuori e dentro l’Italia. Franceschini, per dire, ha la stazza e il calibro di un Casini: naviglio leggero e schioppo da passeri. Però è lui a rubare la scena, a scippargli i titoli sui giornali e le laccate inquadrature televisive. Ha perfino indossato il pullover marchionnico, rendendo, ai fini dell’immagine, della visibilità, poveri ciaffi i cachemirini di Pierferdy, ormai equiparati a quelli, ridicoli, dello psichiatra televisivo Paolo Crepet. Deve essere dura, per uno che assaporò le pompe e i salamelecchi dovuti al presidente della Camera e che s’illuse di avere, una volta sciolto il Parlamento e convocate le elezioni, il boccino in pugno. Puntava (come Veltroni e s'è visto la fine che ha fatto) a un pari e patta fra destra e sinistra così da porsi, ancora odoroso degli incensi tributategli in qualità di terza carica dello Stato, come ago della bilancia. E già vedeva Veltroni o il Cavaliere andargli a beccare il grano nella mano. Gli andò male e si ritrovò disoccupato. Peggio: inutile. Oggi come oggi un Pino Pisicchio conta assai più di lui.
La batosta non gli ha però tolto una baldanza che si coglie, le rare volte che gli capita d’avere un microfono davanti, nel tono gladiatorio delle sue dichiarazioni. Dichiarazioni da leader, ancorché irrilevante. Da uno che fa e disfà, che blandisce e minaccia, che detta le regole e le condizioni. E che fa il prezioso. Intervistato da Susanna Turco dell’Unità, Casini mandava a dire sia a Franceschini sia a Berlusconi di non fare i conti senza l'oste, non avendo egli ancora deciso su quale parte riverserà il patrimonio della propria sagacia politica e dell’incommensurabile potenza di fuoco, numerica e intellettuale, dell’Unione di Centro (compresa quella di pertinenza della Rosa Bianca). Parole sue: «Abbiamo davanti una legislatura di cinque anni, per cui calma ragazzi. Abbiamo tempo per capire se questo percorso porterà una forza come la mia a evidenziare maggiori elementi di convergenza con la maggioranza o con l’opposizione guidata dal Pd». E noi qui, col fiato sospeso, anche perché sconcertati da una precisa indicazione, anzi, di più, da una sentenza emessa senza mezzi termini: «A me le parole centro, destra e sinistra ormai danno nausea». Ed è giusto che sia così, perché un leader con gli attributi che si ritrova Pier Ferdinando Casini non si cura del dettaglio, ponendosi lì dove è il suo posto, al di sopra della mischia.

Anche se torna strano sentirgli dire che il centro gli dà il voltastomaco, quando poche battute prima aveva affermato, con piglio tra il Napoleone e il Duce: «Abbiamo stretto un patto coi nostri elettori, quello di restare al centro. E lì rimaniamo». Qualcuno, se passa da quelle parti, gli dica una parola buona.

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