Roma - Cornicioni sbriciolati, polvere di mattoni, pietre frantumate. Una nuvola di macerie, mai rimosse, da undici mesi. Ancora lì, simbolo doloroso di qualcosa di non fatto, di un’inadempienza, una vergogna. Con lo sfondo di quest’immagine terribile è andata in scena la protesta delle carriole all’Aquila. Settimane di battaglie, condotte anche legittimamente da chi rivuole un centro pulito, una città senza lo sfregio dei suoi detriti mai rimossi. Una città normale. Battaglie condotte anche dalle autorità cittadine, sindaco Cialente e presidente della provincia Pezzopane in prima fila.
Domenica anche l’Aquila andrà al voto. Si rinnova il consiglio provinciale (Stefania Pezzopane si ripropone come candidata del centrosinistra). Ma da cinque giorni sta avvenendo un fatto nuovo: i vigili del fuoco hanno iniziato a rimuovere le macerie. È la risposta ai desideri degli aquilani. Qualcuno finalmente inizia a portare via i resti sparpagliati della città distrutta dal terremoto.
Ai pompieri arriva però una lettera sorprendente. Firmata: «il popolo delle carriole». I vigili del fuoco vengono invitati a fermarsi, sono accusati di «pulire piazza Palazzo di nascosto», di non fare «la raccolta differenziata» delle macerie. Il testo integrale di questa lettera è stato pubblicato domenica 21 marzo sul portale abruzzese www.ilcapoluogo.it. È paradossale, a prima vista. Mesi di guerra delle macerie, e ora che pietre e mattoni sono sollevati, si dice stop, fermatevi, pompieri: «In due giorni - scrive il popolo delle carriole - avete fatto quello che nessuno ha voluto fare in 11 mesi e noi avevamo cominciato a fare bene da tre settimane, ricostruendo un’unità di popolo». Vi siete prestati, scrivono gli «scarriolanti» a «strumentalizzazioni tanto da fare la corvée d’emergenza per il governo». I vigili del fuoco stanno lavorando per gli aquilani e sono messi in croce. C’è qualcosa di strano e insensato, in questa lettera. E allora val la pena scavare più a fondo dentro le macerie dell’Aquila.
Consultando tra i documenti post-terremoto della presidenza del Consiglio dei ministri si scopre che la rimozione dei «materiali derivanti dal crollo degli edifici pubblici, nonchè quelli provenienti dalla demolizione degli edifici danneggiati», spettava ai Comuni, non alla struttura commissariale. Non quindi alla Protezione civile, o al governo. È tutto scritto nell’ordinanza numero 3767 del 13 maggio 2009. Dieci mesi fa. Articolo uno, comma 6: «I Comuni procedono alla rimozione dei materiali di cui al comma due».
C’è un altro documento: una lettera datata 22 agosto 2009. La presidenza del Consiglio dei ministri invitava i Comuni a «provvedere celermente all’individuazione dei siti presso i quali realizzare gli impianti di deposito temporaneo e selezione». Alla provincia dell’Aquila era «demandato il ruolo generale di coordinamento e di supporto tecnico». Solo un decreto del primo febbraio di quest’anno delegava tutta la gestione delle macerie al commissario (il governatore Gianni Chiodi). La struttura centrale dello Stato ha preso quindi in mano il problema solo da poche settimane. Nessuno lo ha mai spiegato, e intanto la battaglia delle carriole andava avanti.
Il 3 marzo si è svolta la prima riunione operativa coordinata dal ministro Stefania Prestigiacomo, a cui erano presenti, oltre a Chiodi, il prefetto dell’Aquila Franco Gabrielli, Cialente e Pezzopane. Dal 18 marzo i vigili del fuoco hanno iniziato a liberare piazza Castello. Tre giorni dopo, la lettera indignata del popolo delle carriole. Ai pompieri si contesta anche di procedere senza «nessuna presenza della soprintendenza, nessuna differenziazione».
È una strana storia, questa delle macerie dell’Aquila. Tra quattro giorni si vota.
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