«Meno male che Fini cè», annuncia Eugenio Scalfari. E nellinvocazione del fondatore di Repubblica cè molto dello smarrimento di un mondo di sinistra che, di fronte al dilagare del berlusconismo vincente, non riesce a vedere altri argini che quelli interni al centrodestra.
Un altro (ex?) maître à penser del progressismo, ancorché pagato da Mediaset, come Maurizio Costanzo vede tempi lunghi per tornare a sperare: «Il prossimo leader Pd? Per ora sta in terza media, crescerà tra un po».
Quello in carica, al momento, sta oltreoceano e parla poco. Dario Franceschini ha discusso con i suoi, nelle settimane scorse, sulla possibilità di contrapporre una presenza mediatica del Pd al dilagante protagonismo berlusconiano che era facile prevedere per i giorni del congresso. Ma le idee scarseggiavano e, davanti alla difficoltà dellimpresa, si è optato per il low profile e il distacco anche fisico: il premier a Roma col suo megaschermo, il leader dellopposizione in Cile a discutere del da farsi con i big della sinistra mondiale, da Lula a Zapatero a Brown. Solo oggi, rientrato in patria, Franceschini dirà la sua in una conferenza alla stampa estera, e cercherà di approfittare del down post-congressuale per riprendersi un po di spazio.
Il clima, però, è quello che è. E a sinistra pullulano i desaparecidos. Certo, cè sempre Massimo DAlema, che sceglie di flirtare con «largine» Fini sulla solita «stagione costituente», nella speranza di costruire un gioco di sponda che ridia fiato al Pd e inneschi qualche contraddizione nel campo berlusconiano. Cè Pierluigi Bersani, che però è impegnato innanzitutto nella preparazione della futura competizione per il vertice Pd. Cè Franceschini che tira la carretta e guarda alle Europee e a quel tetto del 27% che dovrebbe garantire la sopravvivenza del Pd e la permanenza della sua segreteria.
Gli altri protagonisti della più recente stagione sono assai più defilati. Walter Veltroni, dopo le dimissioni, se ne è andato a New York e per ora non ha alcuna intenzione di intervenire direttamente nella politica italiana, anche se continua a sentirsi col suo successore e ad incoraggiarlo.
Romano Prodi gli dà il cambio: è in partenza per gli Usa per una serie di lezioni di politica internazionale alla Brown University, che ha già ospitato su quella cattedra altri illustri disoccupati come Gorbaciov. Prima di partire il Professore, che come il Conte di Montecristo ha la memoria lunga, sia pur con meno probabilità di tornare trionfante a Parigi, si è preso qualche vendetta postuma: ha assestato il calcio dellasino a Veltroni, accusandolo (dallo studio tv di Fabio Fazio) di avergli fatto cadere il governo, che altrimenti chissà quanto sarebbe durato. E ha partecipato alle grandi manovre del patto Rcs che dovrebbero portare al cambio di direzione del Corriere della Sera. Il candidato del cuore di Prodi, Roberto Napoletano (che si era guadagnato laffetto dellex premier offrendogli generose tribune sulla prima pagina del Messaggero) non ce lha fatta, ma Paolo Mieli è un altro con cui Prodi se lera legata al dito e vederlo andar via sarà comunque una soddisfazione.
E Fausto Bertinotti? Lex presidente della Camera presenta libri sui destini della sinistra scritti dai suoi pupilli (quello dellex segretario Prc Franco Giordano, quello dellex sottosegretario Alfonso Gianni), e con la consueta capacità affabulatoria tiene ascoltati interventi ai convegni.
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