Cervelli in fuga? Macché, i talenti scelgono Milano

Cervelli che tornano. O, se si preferisce, talenti che non scappano da, ma scelgono Milano per investire sul futuro e sulla ricerca. Lontani dal luogo comune che vede le nostre città, l'Italia come fanalino di coda nel campo delle ricerche scientifiche. Le corsie di ospedali, i laboratori, le università raccontano le storie di chi è partito e poi è tornato «perché Milano ha centri che competono con i migliori al mondo» o di chi ha scelto i nostri atenei «perché le loro borse di studio sono tra le migliori in Europa». Fare il ricercatore oggi non significa solo essere precario a mille euro al mese. Il Giornale ha bussato alle porte di atenei, centri di ricerca e strutture sanitarie. Trovare chi crede in Milano non è stato come scovare un ago in un pagliaio. Lo dimostrano i numeri dell’Ifom, per esempio, centro di ricerca d'eccellenza nel campo della medicina molecolare, finanziato tra gli altri dall'Airc (associazione ricerca contro il cancro). Nel campus di via Adamello su 190 ricercatori, 50 sono stranieri, soprattutto tedeschi e inglesi. Le domande per accedervi superano di gran lunga le offerte. O ancora i numeri degli studenti stranieri presenti negli atenei cittadini. Secondo una ricerca realizzata dalla Fondazione Rui dal 2001 al 2008 sono cresciuti del 30 per cento, Bocconi in testa. In altri termini uno studente straniero su 7 in Italia si forma a Milano. O ancora le borse di studio messe a disposizione dall'Alta Scuola Politecnica dove ogni anno vengono selezionati 150 studenti tra i migliori e di questi uno su quattro è straniero. «Parlare di fuga dei cervelli è assolutamente fuorviante - spiega il professor Marco Foiani, direttore scientifico Ifom e docente di biologia molecolare alla Statale - Chi vuole diventare scienziato deve mettere in conto la mobilità. Perché è un valore. Nei nostri centri di ricerca chi ha avuto una storia statica viene contro selezionato. Da noi si fa operazione opposta, si tende a nascere e morire addirittura nello stesso dipartimento. Bisogna andare all’estero, non per scappare, ma perché non esiste ricerca se non nel confronto su scala globale. Io adesso consiglio ai miei studenti di andare in Asia, li incoraggio a partire.

Una decina d’anni all'estero, prima di ritornare competitivi e senza aspirazioni al posto fisso. L'aspirazione di uno scienziato è il risultato della sua ricerca. Solo così darà sempre il meglio. Troppo difficile? Forse sì. La mia esperienza mi dice che solo uno su tre ce la fa».

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