Milano - E bravo Cesare Cremonini: non sbaglia un colpo. Domani esce il suo nuovo cd, che si intitola Il primo bacio sulla Luna ed è un signor disco perché non ha confini: spazia di qua e di là, dal rock al pop al folk, senza diventare mai autoreferenziale o troppo accademico. D’altronde guardatelo questo ventottenne bolognese che a diciott’anni è sopravvissuto all’iradiddio dei Lùnapop diventando un cantautore come oggi non ce n’è più, rotondo e completo nell’ispirazione ma ancora con i piedi artistici ben piantati per terra, niente svolazzi egocentrici per fortuna. «Questo disco - dice lui mangiando veloce in una trattoria - arriva alla fine di un periodo complesso della mia vita ed è in qualche modo il riassunto di tutti gli altri album che ho fatto». Sì, è così perché in questi dodici brani non ci sono tributi evidenti ai suoi padri musicali, da Battisti a Gaber fino a Dylan, non si colgono quelle strizzate d’occhio ad altri artisti che spesso sono il frutto dell’innamoramento estemporaneo, della passione appena nata: tutto è stato ormai metabolizzato, e lo conferma pure lui, entrando nel suo bagaglio di viaggiatore dell’animo, acceso dalla curiosità e talvolta venato di malinconia.
In fondo per lui la malinconia è «la via di mezzo tra il cielo e la terra» e così spesso si respira nei suoi brani, negli arrangiamenti ariosi di Cercando Camilla o persino nell’incedere apparentemente allegro di
La ricetta (per curare un uomo) che è la fantastica storiella di un uomo che non ha «niente di speciale» però è capace di «chiudere gli occhi e sognare». Sognare per combattere la solitudine.
Svezzato dal successo e protetto dalla sua naturale riservatezza, ormai Cesare Cremonini è diventato un cantastorie che non parla quasi mai in prima persona ma sfrutta vicende di vita altrui, raccolte, osservate, magari spiate dal buco della serratura dell’attualità. Di sicuro, spiega, «in questo disco non c’è la mia vita privata» e non c’è almeno apparentemente perché ogni verso, ogni rima è il frutto della sua sensibilità e quindi della sua visione della vita. «Io sono libero», dice, «non sono schiavo del mio repertorio come tanti altri rischiano di diventare: io seguo la mia ispirazione dovunque vada». E già la decisione di pubblicare il suo singolo Dicono di me ben due mesi prima dell’uscita dell’album è il sintomo di una libertà che pochi oggi si possono concedere.
Certo, lui dice che «volevo far uscire una canzone allegra un po’ prima dell’album per vivere il periodo di lavoro più duro, quello in studio, con la carica giusta». E senza dubbio il brano ha fatto il suo dovere, visto che questa estate è stato uno dei più trasmessi dalle radio e da domani lascerà spazio al nuovo Le sei e ventisei, che è un po’ meno trascinante e più intimo e, appunto, malinconico al punto giusto. Anche quando parla, Cesare Cremonini ha il tono riflessivo, pacato, di chi è abituato a pensar bene alle cose e tutto sommato se ne sta bene nel mondo suo, a vivere, a suonare, a dividere la sala prove con Ballo Balestri, il bassista che lo accompagna sin dai tempi dei Lùnapop e con il quale lo lega un’intesa che va ben oltre la musica. «Nei momenti di difficoltà, lui mi è stato vicino in modo speciale» conferma Cremonini e poi all’unisono dicono: «Ci manca solo la telepatia, per il resto ci intendiamo alla perfezione anche senza vederci».
Saranno insieme anche durante questi giorni di promozione, fatta di parole e qualche apparizione in tv «in quei programmi come quelli di Fazio, della Dandini e della Ventura dove ancora si può parlare e suonare musica».
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