Cesare De Marchi

Cesare De Marchi

L’uomo con il sole in tasca (Feltrinelli, pagg. 189, euro 17) non è l’ennesimo romanzo di fantapolitica su Berlusconi. Non lo è perché l’ha scritto Cesare De Marchi, una delle nostre penne migliori, ma soprattutto per la trama del racconto: alcuni brigatisti uccidono gli uomini della scorta di un presidente del Consiglio che dice «mi consenta», lo rapiscono e poi lo processano. L’intreccio, è evidente, soddisfa il desiderio di «incastrare» Berlusconi, neutralizzando la presunta anguillarità del personaggio servendosi della forza. Bloccato nel covo, costretto a indossare una tuta grigio-topo, il presidente dovrà rispondere alle domande dei suoi aguzzini, i quali sono divisi. C’è il terrorista che nutre una segreta invidia per la mancanza di rovelli (morotei?) del sequestrato. E c’è il giovane che vorrebbe andare a letto con il terzo membro della banda, Cecilia, che si intuisce essere più avvenente della Carfagna; e poi vuoi mettere il fascino del nome moraviano...
A proposito di Moravia: quando Benedetto Croce lo incontrò, gli comunicò che anche il signor Tizio (un minore) aveva scritto «il romanzo dell’uomo che vuole, non vuole e disvuole». Quell’uomo è il protagonista di tutti i romanzi di De Marchi. Bel guaio: perché il meccanismo dell’identificazione romanzesca si verifica solo quando l’eroe ha un obiettivo chiaro, mentre in L’uomo con il sole in tasca tutti sembrano disorientati come Superman dalla kriptonite. Il commissario di polizia agisce solo per dovere, e i terroristi sembrano tanti Travaglio confusi. Sarebbe stato più logico (e divertente) fare rapire il politico dalla redazione di Repubblica.

Poco elaborate anche le indagini della polizia, con gli agenti che controllano con il computer i traslochi recenti e alla prima incongruenza trovano il covo. Resterebbe un ultimo appiglio: paventare la fine di Moro e tremare. Peccato che la vittima, per De Marchi, somigli così tanto al vilain da escludere ogni preoccupazione per la sua sorte.

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