Cgil, Cisl e Uil hanno costruito un business da due miliardi

ZONA GRIGIA Le parti sociali non hanno bilanci ma un giro d’affari da società quotate in Borsa

Cgil, Cisl e Uil hanno costruito un business da due miliardi

MilanoQualcuno maligna che tra le cose che nemmeno Dio conosce, oltre ai soldi dei salesiani, al numero degli ordini femminili e a cosa pensano i gesuiti, c’è anche il bilancio di Cgil, Cisl e Uil. Nessuno ne ha mai visto uno. C’è chi ipotizza un fatturato da un miliardo di euro l’anno solo per la Cgil, più un altro miliardo per Cisl e Uil. Un calcolo al ribasso, anche perché fare i conti in tasca alla trimurti sindacale è un’impresa biblica.
La fonte di reddito più consistente è il tesseramento. Gli iscritti alle tre principali sigle sono oltre 11 milioni. Che ogni mese versano lo 0,40% del proprio stipendio. Qualcosa come 30-40 euro l’anno in media, che arriva direttamente (e gratis) dalle buste paga alle casse dei sindacati. Secondo l’Espresso solo la Cgil per i suoi 5,6 milioni e rotti di iscritti ha incassato nel 2006 331 milioni di euro dalle aziende e 110 milioni dall’Inps. L’altra fonte di reddito sono i Caf, che grazie a un meccanismo unico in Europa incassano soldi dall’Inps (120 milioni nel 2006), soldi dai 25 milioni di contribuenti, iscritti e no (altri 300 milioni in media) e soldi dall’Erario (180-200 milioni) per le dichiarazioni inviate all’Agenzia delle Entrate. Senza contare il «tesoretto» legato alla compilazione di Ise e Isee, gli indici sul reddito necessario per chiedere prestazioni e agevolazioni all’Inps.
Discorso a parte merita l’altra enorme torta dei patronati, gli enti di assistenza per dipendenti, autonomi e pensionati gestiti dai sindacati confederali e dalle associazioni nazionali dei lavoratori, che attraverso i loro 10mila sportelli solo l’anno scorso hanno gestito oltre 6 milioni di pratiche tra prestazioni sociali, mediche, pensionistiche e persino permessi di soggiorno per immigrati. Secondo il giuslavorista e deputato Pdl Giuliano Cazzola «i patronati sono fondamentali per reclutare iscritti tra i pensionati, che spesso si vedono sottoporre la delega per le trattenute». E la firmano, senza troppe domande. «Solo nel 2005 così la Cgil ha raccolto altri 450mila iscritti». E tanti, tanti altri soldi. Solo l’Inps, secondo l’Espresso, nel 2006 ha speso per i patronati 248 milioni e spiccioli, di cui 82 sono finiti alla Cgil, 66 alla Cisl e 26 alla Uil.
Uno strapotere economico e politico quasi inarrestabile. Chi tocca il sindacato muore, o comunque fa una brutta fine. Nel ’95 la trattenuta automatica in busta paga venne abolita dal referendum promosso dai radicali, ma è ancora in vigore, così come l’automatismo negli assegni Inps che un emendamento di Forza Italia alla legge Bersani sulle privatizzazioni - l’allora premier era Romano Prodi - tentò (inutilmente) di sottoporre a un tagliando periodico. La Trimurti insorse, niente da fare. Quando il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, nel 2005, propose di estendere la direttiva Bolkestein e «liberalizzare» patronati, Caf e sindacati, venne sommerso dagli strali di Cgil, Cisl e Uil e bocciato perché «avrebbe colpito la povera gente». E non se ne fece nulla.
Certo, il sindacato ha anche delle «uscite». Quasi 10mila sedi in tutta Italia, a volte controllate direttamente da holding immobiliari che fanno gola alle società di real estate quotate in Borsa, e migliaia di dipendenti (solo la Cgil ne ha ventimila) a busta paga, che però sono licenziabili senza giusta causa perché le tutele dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non lo prevede. A questi va aggiunto un esercito di 3.077 dipendenti pubblici «distaccati» che lavora per il sindacato ai quali lo Stato continua a pagare stipendio, buoni pasto e bonus. Ogni anno il distaccamento costa al contribuente 116 milioni di euro, Irap e oneri sociali compresi. Ai quali vanno sommati altri 9,2 milioni di euro per le oltre 420mila ore di permessi retribuiti. Un terzo degli impiegati distaccati è della Cgil: i «suoi» 1.134 lavoratori sottraggono ogni anno 330mila giornate lavorative per permesso sindacale allo Stato. Un regalo da 32 milioni di euro.
Senza contare che i sindacati, come se non bastasse, hanno anche l’arma dello sciopero da brandire al tavolo delle trattative. Negli anni del governo di centrosinistra (1996-2001) furono circa 120mila l’anno. Durante il quinquennio berlusconiano, (2001-2006) lievitarono a dismisura.

Furono 12 milioni l’anno, in pratica il 10mila per cento in più, con ripercussioni pesantissime sul Pil in anni di economia piegata dall’11 settembre e dalla recessione mondiale. Scenari che rischiano pericolosamente di ripetersi.

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