da Milano
Si chiama Trittico, e fa venire in mente una pala d'altare, dove lo sguardo compone una storia d'immagini in onore di qualche santo. Ma il trittico di Puccini non è in onore di nulla: son tre opere brevi diversissime che l'autore accostò e offrì a New York nel 1918. Così nacquero il barcone sulla Senna in cui il padrone uccide l'amante della moglie, Il tabarro; la giovane chiusa in convento per espiare, che scopre morto da anni il figlio della colpa e si suicida, perdonata dalla Madonna; la beffa di uno che, in Firenze, si sostituisce a un morto fingendo di dettare un nuovo testamento a favore degli avidi parenti, ma lascia a se stesso il patrimonio: Gianni Schicchi.
Alla Scala Luca Ronconi, con la scenografa Margherita Palli, a costo di garantirsi qualche buuu insieme agli applausi, sente che sono tre fatali storie di morte in luoghi in qualche modo noti all'immaginario e se li rigioca con discutibile e lucida genialità: la gelosia grandguignolesca sotto un ponte come il manifesto d'un film noir; l'armamentario conventuale in una sinfonia di bianchezze; la storia del gran truffatore come già avvolta nel rosso del diavolo. Ma tutti come pronti ad essere sospinti nell'abisso, da un elemento inclinato su cui si muovono, che dà alla scena una specie di chiave rivelatrice dall'inizio, e che in Suor Angelica è addirittura un'enorme figura di suora abbattuta e riversa. Chi ci sta, si può molto emozionare.
Senza rischi d'insuccesso è invece la direzione di Riccardo Chailly, che s'immerge in tutte le storie, particolarmente in quella della povera suora, ma sempre nella pratica del canto accompagnato, semplificando, ripulendo e anche indugiando.
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