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Con Chailly una Lady più discreta (e non vietata ai minori)

Per il maestro è la dodicesima. Prima scaligera: "È un capolavoro assoluto del '900"

Con Chailly una Lady più discreta (e non vietata ai minori)
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Il 7 dicembre, con Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitri Shostakovich, Riccardo Chailly conclude il decennio da Direttore Musicale della Scala firmando la dodicesima Prima scaligera. Non la dirige solo per ricordare il mezzo secolo dalla morte del compositore, ma perché "è un capolavoro assoluto del Novecento". Una goduria per l'orchestra, che qui è narratrice di fatti e personaggi. Svettano i fiati, talvolta li vedremo anche in scena, sarcastici più che mai: in testa il fagotto, di solito l'ingrediente che amalgama, ma qui spesso in primo piano.

L'opera si apre con la monotonia soffocante lamentata da Katerina: "I clarinetti scendono come un serpente, raccontando l'impossibilità di evadere da un ambiente ostile", spiega Chailly. Da lì prende forma un universo sonoro di politonalità, glissati satirici spesso del trombone, con il suo "bwoooooooom" e momenti di sarcasmo tagliente. "Quando Katerina avvelena il suocero, l'orchestra dipinge un pianto finto, da operetta. È una scrittura beffarda".

Il grottesco, osserva Chailly, è uno degli elementi più emblematici di questo capolavoro, basta ascoltare il canto del prete davanti al cadavere di Boris, "una pagina che sfiora l'operetta", da tragedia satirica. Tra tensione, satira e violenza, affiorano momenti di improvvisa dolcezza. "Quando Sergej, l'amante, si addormenta, per un attimo tutto si calma: le orecchie si distendono dopo tanta politonalità sovrapposta".

Memore di produzioni eccessivamente esplicite, Chailly ha chiesto al regista Vasily Barkhatov di evitare provocazioni gratuite e di filtrare le situazioni più ambigue ed osé, in testa la scena dell'amplesso, attraverso il racconto. Una Lady più discreta insomma, adatta anche a minori di 18anni. La storia dell'opera resta uno dei casi più clamorosi di censura del Novecento. Dopo un anno e mezzo di trionfi, nel 1936 venne bandita dall'URSS e tornò in scena solo con Kruscëv, pur in una versione rivista. Del resto, affrontava apertamente il tema della libertà sessuale, conquista della Rivoluzione russa, proprio nell'anno (1934) in cui in Unione Sovietica si iniziavano a prendere contromisure significative contro quella stessa libertà. "Ha sofferto troppo e deve recuperare il tempo perduto", osserva Chailly che insiste sulla complessità della partitura: ritmi impervi, metronomi "a volte oltre il limite umano", un intreccio politonale trattato con maestria assoluta. "Shostakovich conosceva Bach alla perfezione: il contrappunto, le pagine corali... È sorprendente pensare che avesse solo ventiquattro anni". Nel quarto atto, l'ombra di Musorgskij "fortissima nelle sezioni corali" si intreccia alla malinconia di Mahler.

La compagnia di canto è "idiomatica, sia vocalmente sia caratterialmente", a

partire da Sara Jakubiak, la protagonista, che Chailly scherza definendo "spremuta come un magnifico arancio". Anche il coro, preparato da Alberto Malazzi, affronta una sfida "enorme" sul piano di ritmo e sillabazione.

PAF

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