Chailly: «Mi emoziona dirigere l’Aida nel luogo dove è nata»

Piera Anna Franini

da Milano

Ieri, davanti alla stampa al completo, il sovrintendente della Scala Stéphane Lissner ha esaltato le «qualità artistiche e umane» di Riccardo Chailly, direttore del titolo inaugurale della stagione del teatro alla Scala: Aida di Giuseppe Verdi. «Si sta lavorando in un’atmosfera di serenità e di serietà», ha osservato Lissner pronto a ricordare il ruolo del direttore d’orchestra: «il cuore di una produzione». S’è parlato a lungo dell’esoterismo di Aida, di segreti «codici Verdi». Si sono decantate le meraviglie del cast, con punte nell’Aida di Violeta Urmana e nel Radames di Roberto Alagna, quanto alla regia di Franco Zeffirelli ormai che altro aggiungere. Dopodiché Chailly ha colto la palla al balzo di penne, telecamere e microfoni spiegati per smorzare i toni di una polemica sollevata da sue dichiarazioni rilasciate qualche settimana fa.
Piccolo riepilogo. Dopo lo strappo Scala-Riccardo Muti, il nome di Chailly entrò subito nella terna dei candidati eccellenti alla successione al Piermarini, l’ha poi spuntata Daniel Barenboim nominato Maestro scaligero, un titolo di difficile decifrazione (e ci risiamo coi codici) e che nella concretezza riserva a sé tanti compiti e spazi scaligeri. «È stato scritto di tutto, talvolta s’è trattato di amplificazioni di verità dette. Io ho desiderato dare un segnale di collaborazione alla Scala partecipando a tre progetti: Rigoletto, Aida e Manon Lescaut nel 2008. Ma va chiarito – ha spiegato Chailly - che la mia vita musicale è già orientata da ben tre anni, fino al 2010 sono a Lipsia. Il fatto che Lissner abbia chiesto altre partecipazioni per il futuro mi lusinga, ma non posso».
E dopo il 2010?
«Tutto è futuribile. Assicuro la mia disponibilità a pensare e a parlare».
È la sua prima inaugurazione scaligera, ed è nella città in cui è nato e cresciuto. Che cosa provoca questa consapevolezza?
«Credo che nell’alzare la bacchetta avvertirò una forte trepidazione. Non tanto perché è un 7 dicembre, ma per il significato storico della produzione. Riprendiamo Aida nel luogo in cui è nata».
Che cosa ci dice del cast?
«La Urmana è un soprano straordinario, sa raggiungere gli acuti senza stringere: cosa non irrilevante considerati i tempi. Alagna unisce il canto eroico a quello lirico, ha la baldanza vocale per cui gli acuti sono svettanti, ma allo stesso tempo ha maturato anche i centri».
Non è ancora spuntato il nome di Amneris.
«Stiamo valutando fra tre cantanti, teniamo anche conto di alcuni problemi di tracheite».
Ha definito Aida, una «partitura piena di angoli»...
«Cosa vera soprattutto per il terzo e quarto atto che sono la rivelazione della tarda maturità di un genio. Già l’attacco del terzo chiarisce una scissione con gli atti precedenti. D’intesa con Zeffirelli evitiamo l’intervallo fra primo e secondo atto così da sottolineare la compattezza del blocco che raggiunge il climax nella melodia del Trionfo».
Melodia di facile comunicativa e per questo talvolta criticata.
«C’è che ne parla in termini di melodiaccia. Io la faccio sul serio e con la baldanza e la cura del dettaglio che richiede».
Come è l’Egitto di Verdi?
«Verdi era uomo aggiornatissimo, non possiamo immaginare con quanto coraggio si avvicinò a un mondo così lontano e criptico. C’è un forte senso dell’onirico tutto giocato sui timbri e un esoterismo che fa pensare a un codice segreto».
Addirittura un codice segreto?
«Per esempio compare la tripartizione di una stessa cellula musicale per ventisette volte: una rete legata al numero tre».


Cosa simbolizza il tre in Aida?
«È un mistero, ognuno è libero di interpretarlo come crede, la cosa importante è porsi il perché. Forse l’insistenza ossessiva del tre si collega al senso di claustrofobia del terzo atto, a personaggi ingabbiati, all’incapacità di risoluzione di Radames».

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