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Regionali, nessuno scossone al quadro politico. Ma si apre il rebus legge elettorale

Tutto secondo previsioni. Schlein ora punta a tenere l'attuale sistema di voto

Regionali, nessuno scossone al quadro politico. Ma si apre il rebus legge elettorale
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Tutto è andato secondo i pronostici: il Veneto al centrodestra; Campania e Puglia al "campo largo". La tornata di elezioni regionali non mette in discussione il quadro politico. Il governo può andare avanti tranquillo anche se ragionare su un voto che, vista l'astensione, rappresenta solo metà del Paese è un terno al lotto per tutti. Prossima tappa della corsa a ostacoli sarà il referendum sulla giustizia che con un Paese spaccato in due blocchi divisi da poche percentuali di voto inevitabilmente sarà politicizzato e, purtroppo, si trasformerà - com'è per ora nelle intenzioni di mezza sinistra - in un referendum su Giorgia Meloni. Sono le abitudini del Belpaese. Semmai ci sarà da ragionare sulla necessità o meno di dare una nuova legge elettorale visto che proiettando i numeri di oggi con l'attuale sistema di voto non sarebbe garantita la stabilità di governo ma potrebbero uscire solo maggioranze striminzite, o ancora diverse tra Camera e Senato, o addirittura chi sta nel mezzo potrebbe diventare l'ago della bilancia come in una lotteria (Calenda). Si vedrà. Come sarà necessario capire in un quadro internazionale sempre più buio come sarà possibile tenere insieme due coalizioni divise al proprio interno sulla politica estera (Ucraina).

Alla fine gli spunti più interessanti di queste elezioni riguardano gli equilibri negli schieramenti e ciò che succede dentro i partiti. E da questo punto di vista si assiste a un fenomeno paradossale: chi vince, a ben guardare, non è assimilabile del tutto alla linea ufficiale del partito di provenienza e in alcuni casi addirittura rappresenta un'alternativa non detta. Rispetto allo stesso Giuseppe Conte, ad esempio, il nuovo governatore della Campania, Fico, è il pioniere e l'alfiere dell'idea che l'alleanza tra grillini e Pd non abbia alternative e che vada fatta a tutti i costi. Come pure il nuovo governatore della Puglia Decaro appartiene a quell'area riformista che non è tanto convinta della svolta radicale imposta dalla Schlein al Pd. Infine il vero trionfatore delle elezioni venete, l'ex governatore Luca Zaia, che ha evitato il sorpasso di Fratelli d'Italia e ha addirittura permesso alla Lega quasi di doppiare i voti del partito della Meloni, persegue una politica pragmatica da Lega delle origini, moderata, addirittura europeista che è ben lontana dal sovranismo e dal populismo di destra di Matteo Salvini.

Insomma, le linee vincenti sono diverse da quelle ufficiali ma non riescono a imporsi dentro i partiti che hanno meccanismi interni impermeabili. Come pure i baricentri delle due coalizioni sono spostati su posizioni radicali che spesso sono ridimensionate nei risultati elettorali. Un esempio per tutti: in Campania la somma delle liste moderate (Casa riformista e Avanti Campania-Psi) fa il 10% superando la lista ufficiale dei 5stelle; e sull'altro versante Forza Italia contende il primato nel centrodestra in Campania. Sarebbe lecito chiedersi se il fatto che i due schieramenti investano principalmente sugli elettorati identitari sia la vera causa per cui alla fine non riescano a portare alle urne neppure la metà degli aventi diritto al voto.

Resta il fatto che punto percentuale in più o in meno abbiamo un Paese diviso a metà. Le sette elezioni regionali che si sono succedute negli ultimi mesi non hanno cambiato il quadro. Come pure all'interno delle due coalizioni i partiti egemoni restano Fratelli d'Italia e il Pd. Ragion per cui l'ipotesi più probabile è che saranno le leader dei due partiti a contendersi fra un anno e mezzo Palazzo Chigi.

Un fatto naturale per il centrodestra non fosse altro perché Giorgia Meloni è l'attuale premier oltreché leader del partito maggiore della coalizione. Meno scontato per il campo largo: lì non mancano dubbi sulle chance di vittoria di un candidato radicale come la Schlein. Già, la Schlein. Ieri la segretaria del Pd ha rimarcato due dati: con l'attuale legge elettorale il campo largo ha la possibilità di vincere e sarebbe lei ad andare a Palazzo Chigi come leader del partito più forte. C'è da ritenere, quindi, che non asseconderà il tentativo di dare una nuova legge elettorale al Paese. Anche perché gli ultimi 14 anni il Pd li ha trascorsi per la maggior parte al governo senza vincere le elezioni grazie ai buoni rapporti con il capo dello Stato di turno.

Magari è tutta qui la ragione della tensione tra il partito di maggioranza relativa e Mattarella (ieri ci si è messo pure il presidente del Senato): senza l'aiuto dell'inquilino del Quirinale, infatti, difficilmente la Meloni potrà cambiare il sistema di voto.

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