Roma - C’è un’amarezza inseparabile dal bello: sotto tutte le sue forme e davanti ai nostri occhi ogni giorno è scempio di quanto ardisca piacere. Ma ormai quasi ci siamo abituati a questo gioco al massacro. Ma adesso Charlize Theron, una delle donne più avvenenti del pianeta e una delle star femminili più quotate, a livello internazionale, vuota il sacco. «Trovo discriminante che si accusi una donna di stupidità, per il fatto di essere bella. E tragico. Io cosa dovrei dire che, per anni, non ho neanche avuto un volto, ma solo un sedere? Non avrei dovuto vincere l’Oscar, per quello? Cos’è, una nuova forma di razzismo verso le donne belle?», s’accora l’attrice, confessando al periodico Gossip Star Magazine di non poterne più, a furia di bere, fino in fondo, l’amaro calice del mix bella uguale stupida, o non brava, o mai abbastanza convincente, o chissà con chi va a letto. E se ne intende, di apartheid, l’attrice premio Oscar per Monster (non a caso s’imbruttì nei panni della sgradevole lesbo-killer Aileen Wuornos: doveva dimostrare di valere, anche da laida), visto che è nata in Sud Africa, terra di afrikaans e distinguo.
Magari la sua sparata a orologeria, adesso, serve a preparare il terreno per quando, a ottobre, la radiosa modella classe 1975, verrà in Italia («il mio portafortuna», dice lei), per la nuova edizione del premio cinematografico «Martini Première», nella cui giuria siede il regista Saverio Costanzo. E l'agnizione che dopo quello spot, in cui lei, giovane e sexy, sullo sfondo d’una Portofino ultrachic, si lasciava smagliare il microabito, man mano rivelando un perfetto lato B, della sua faccia importasse nulla a nessuno, Charlize l’ha avuta proprio con la pubblicità Martini&Rossi.
«Certo, appena ho potuto, ho scelto di fare l’attrice. Ma non me la sento di sputare nel piatto dove ho mangiato. Chi lavora con il proprio corpo, che sia modella, attrice o show girl televisiva, spesso lavora 15 ore al giorno, senza tregua», prosegue nel suo sfogo la testimonial di molte case che producono cosmetici, profumi, orologi. Che non sia oro tutto quel che luccica, si sapeva da tempo: nessuno crede più che la magrezza da sfilata sia frutto di Madre Natura solamente; e i sacrifici, per arrivare ai piani alti dello spettacolo, non si contano. Però sorprende questo schierarsi vibrante sulla linea Maginot delle belle con l’anima. Finché si parla di veline con tono di sufficienza (scoprendo, magari, che si tratta di laureate, però col fisico che le assiste), o di ministre tutt'altro che inguardabili (il ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna, stessa età di Charlize, ha studiato 8 anni pianoforte e 9 anni danza, per esempio), tutto si tiene, quanto a viperaio.
Ma se a scendere in campo, per urlare «Sotto le gonne c’è di più!», è una diva stupenda, talentuosa e democratica (ieri la Theron era a Fresno, in California, per patrocinare la causa del matrimonio gay al «Rally Same Sex Marriage»), le cose si fanno serie. Tanto più che la stessa vita di Charlize («una bambina su quattro, ora, in Sudafrica, viene battezzata con questo nome, prima sconosciuto») è un concentrato di soprusi e di superamenti degli stessi, altro che Le regole della casa del sidro. Se oggi l’attrice si batte per i diritti delle donne e degli animali, lo si deve a un’altra agnizione da lei avuta quando, a quindici anni, vide sua madre, la tedesca Gertrud, sparare a papà Charles, un possidente d’origine francese troppo dedito alla bottiglia. Fu legittima difesa, perché oltre al gomito, papà Theron alzava le mani, ma l’efferato accadimento segnò l’adolescente, che se ne scappò in Italia, trasferendosi a Milano all'età di diciassette anni, per lavorare come fotomodella. «L’Italia è stata il mio portafortuna. E sono felice che l’azienda che mi ha lanciato in tutto il mondo si sia adoperata così tanto, per spingere nuovi talenti nel cinema.
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