Che anni quegli anni. Poi arrivò l’omologazione del ’68

Non è facile, parlando di fenomeni sociali e culturali, individuarne le date di inizio. Infatti i «movimenti», per quanto involontari possano essere, hanno gestazioni lente, spesso confuse e sicuramente non univoche. Sono frutti di differenti semi che circostanze e coincidenze rendono capaci di fecondare la storia. Il Beat italiano, pur essendo un frammento del più vasto Beat internazionale, non si discosta da questa regola ed è infatti l’esito di un’alchimia complessa che lo rende però singolare rispetto al senso di ribellione esistenziale giovanile di altri Paesi.
Infatti da noi il fenomeno Beat non passa attraverso i lenti fermenti di una cultura artistica e sociale, come era capitato in altri Paesi. Ma si impone improvvisamente in un crescendo incontrollato. Potremmo identificare nell’8 febbraio del 1964 l’inizio dell’era Beat italiana: quel giorno infatti per la prima volta i Beatles conquistarono il vertice della hit parade italiana con Please please me. Fu la conferma.
Stranamente a dare il «la» a tutta una serie di rapidi cambiamenti furono un inconsueto modo di fare musica e un trasgressivo taglio di capelli che svegliarono i giovani italiani dal torpore di una comunicazione fatta da una televisione bacchettona e da una cultura oratoriale che concedeva ben poco al nuovo. Per spiegarmi, in casa appariva il frigorifero, papà comprava la Seicento, la tv trasmetteva tribuna politica dando a tutti il senso di crescere in democrazia ma i giovani erano totalmente ignorati. Fino al Beat, il giovane era soltanto «un piccolo adulto in un periodo di addestramento alla vita». Ma un malessere occulto accompagnava la crescita della nuova generazione e l’avvento del Beat coincise con l’esplosione della disobbedienza, della trasgressione, del non voler assomigliare ai modelli suggeriti dai grandi. I giovani decisero di diventare Giovani.
La musica fece solo da colonna sonora a questo cambiamento, ne sottolineò le tappe, ne suggerì gli slogan, divenne il simbolo di una trasformazione che probabilmente sarebbe comunque avvenuta con altre modalità. Ma fece la sua parte, e fu una parte da protagonista.
L’effetto dirompente dei Beatles nell’immaginario adolescenziale fatto di capello lungo, abbigliamento, strafottenza, diventa modello. I complessi «capelloni» sono i guru della Beat generation italiana, le canzoni si affollano di concetti sociali, si protesta in musica, si fa moda in musica, anche l’argomento amore assume nuove valenze, le piccole storie delle canzoni percorrono nuovi itinerari dove i protagonisti rivendicano l’indipendenza, sessualità, libertà.
Soprattutto libertà.
I Giovani cominciano ad esistere e tra l’indignazione dei «Matusa» si rendono riconoscibili, escono allo scoperto, sono tanti e in breve diventano soggetti interessanti: diventano consumatori.
Dietro di loro nasce un mondo Beat: negozi Beat, giornali Beat, locali Beat, i salotti buoni della borghesia progressista aprono a poeti e musicisti Beat, la moda si colora di Beat: minigonne, mini pull, cravatte e camicie optical... Tutto diventa Beat e se non sei Beat, sei fuori.
Il beat è autonomia, autodeterminazione, libertà e rapidamente rotola verso la voglia di trasformare la società in un qualcosa di diverso, di somigliante a quell’«universo giovane» che pare possa rimanere giovane per sempre. E il teorema della contestazione trova ragioni nel «Se non pensiamo come voi una ragione forse c’è» come recita Ma che colpa abbiamo noi, una bellissima canzone dei Rokes che abbiamo reinterpretato e suonato nel nostro nuovo cd.


La realtà del momento sembrava fatta apposta per essere rifiutata e così anche da noi, quasi in perfetta sincronia con i coetanei francesi, inglesi e americani, la Beat generation si ribella al «sistema» e dà vita a quel Sessantotto fatto di politica, collettivi, movimenti, omologazione contestatrice e rigori ideologici che rapidamente ha finito con lo spegnere la creatività e l’individualismo di quella stagione Beat che avrebbe voluto un cambiamento. Ma forse un futuro diverso.
*Batterista e cantante dei Pooh

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