Che bello, torna l’era del mecenate

La piccola impresa non sta passando un bel periodo, ma almeno in un settore sta vivendo una stagione di grande fermento: la politica. Berlusconi ha disegnato con poche parole la fine del bipolarismo e la carica degli «imprenditori di partitini». Ai tempi della Dc ci si accontentava di mettere su una corrente, con un bel pacchetto di tessere e lo status di notabile locale. Non facevi il leader, ma mettevi sul piatto della politica la rete di clientele e di voti. La logica non è cambiata poi tanto. Ma la corrente è roba da Prima Repubblica e poi ti senti comunque sotto padrone. Meglio aprire un bel partitino, magari in zona centro, o un supermercato elitario come certi negozi che ti vendono a un prezzo più alto gli stessi prodotti che trovi nei discount. Solo che sono firmati da qualche padreterno della critica gastronomica. La politica insomma è una strada commerciale piena di sigle. Non si fa in tempo a ricordarsele tutte. Ognuno spera di capitalizzare il suo voto, barattandolo a destra e a manca. È il parlamentarismo a gestione familiare. L’interesse non è solo politico. Farsi un partitino è anche un affare economico. Basta fare un po’ di conti e si vede che una «bottega» di discrete dimensioni come quella dei finiani il primo anno potrebbe mettere in cassa, grazie ai rimborsi, una cifra intorno ai 19 milioni di euro. In cinque anni si racimolano 95 milioni. L’ambizione di farsi il partito su misura si trasforma così anche in un affare economico. Questo, naturalmente, dopo le elezioni. Al momento dovranno accontentarsi di una dozzina di milioni (ma con spese molto minori).
Il simbolo dei neoimprenditori del partitino è chiaramente Gianfranco Fini, anche se l’ex alleato di Berlusconi è uno che mira in alto e non nasconde la voglia di papparsi tutta la destra italiana. Il suo sogno è scalare con il Fli lo stesso Pdl. È chiaro che per realizzare il suo obiettivo deve prima distruggere Berlusconi. Non si può negare che ce la stia mettendo tutta. Per raggiungere lo scopo non si fa scrupolo di utilizzare la poltrona che ha conquistato grazie ai voti dell’uomo che ora vuole distruggere. È per questo che a Mestre, durante una conferenza, ha detto che «se durerà la legislatura continuerò a fare il presidente della Camera». Quello è un posto strategico. E da lì l’onorevole Fini non si schioda anche se a governare dovesse essere un marziano o Montezemolo. Non c’è nulla di più bello che fare il leader di partito e l’arbitro in apparenza super partes dei lavori a Montecitorio.
Berlusconi vuole guardarlo in faccia il 14 e contare i suoi voti. Il premier pensa di restare al governo, ma è pronto a sfidare tutti alle elezioni. A Fini la democrazia fa paura. Sa che il suo negozietto ha molta pubblicità, ma pochi clienti. Ha bisogno dell’aiuto di Stato. Lo pretende. «Quando il governo verrà sfiduciato è il capo dello Stato che sa cosa fare».

Fini è convinto che Napolitano gli concederà l’opportunità di costruire un bel governo tecnico senza passare per il voto popolare. È il sogno degli imprenditori assistiti: diventare ricco senza mai misurarsi con la dura legge del mercato.

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