Stile

Che chic avere una (doggy) bag

di Serena Coppetti

«Il conto. E il rimpiattino, per favore». Potrebbe capitare di sentire spesso d'ora in poi una frase del genere alla fine di un pranzo o di una cena al ristorante. Non stupitevi: il cliente non sta invitando il cameriere a giocare a nascondino. Il «rimpiattino» adesso è anche il sinonimo italiano della «doggy bag» di cultura anglosassone nella quale finiscono cibi e bevande non consumati. La parola ha sbaragliato tutte le altre proposte inviate al concorso promosso dalla Federazione dei pubblici esercizi italiana e (Fipe) e dal Consorzio che si occupa del riciclo di carta e cartoni (Comieco) per trovare una traduzione tutta italiana a un costume che ancora troppo italiano non è. Se all'estero infatti la doggy bag arriva spesso insieme al bill senza quasi neanche chiedere, in Italia è ancora difficile vedere uscire qualcuno dal ristorante con il pacchettino del cibo, men che meno della bottiglia vino non interamente consumata. Ecco il «rimpiattino» che non ha appunto niente a che vedere con antichi giochi da bambini, ma prende in prestito la radice di una parola ormai diventata di patrimonio comune tra programmi di cucina, chef superstar e sfide a suon di mestoli e pentoli. «Impiattare» fino a qualche anno fa, era una parola di quelle chiuse dentro il nostro vocabolario della lingua italiana insieme a innumerevoli altre che vengono riesumato solo raramente e in specifici contesti. Rimbalzava sui fornelli delle scuole alberghiere, scuoteva aspiranti cuochi nelle cucine stellate. Ora, d'un tratto tutti impiattano. Nonne-cracco impiattano le lasagne domenicali, mamme-canavacciuole chiedono aiuto nell'impiattamento della merenda... impiatta impiatta siamo arrivati al «rimpiattino». «Non un vero e proprio neologismo - ha spiegato Lino Enrico Stoppani presidente della Fipe - ma riporta alla cultura tutta italiana del rimpiattare ovvero del sapere rielaborare gli avanzi del giorno precedente perché il cibo non si spreca non solo per ragioni economiche ma anche per rispetto alla fatica e al lavoro necessari per portarlo in tavola». Ecco perché l'iniziativa parte proprio da loro. Qualche dato? Nove ristoratori su 10 sono attrezzati con vaschette di alluminio e non vedono l'ora che un cliente richieda di portare via quello che non ha consumato. Il 55% rileva che lo maggior parte dello spreco al ristorante avviene perché i cliente non mangiano tutto quello che hanno ordinato. D'altronde fino a non troppo tempo fa il buon ristorante era quello dove «si mangia bene ma anche abbondante», con piatti che parevano vassoi e porzioni da uno che ci mangiavi in 3.

Tutto questo sta cambiando, ma nel frattempo il 69 per cento dei ristoratori ammette che i clienti raramente chiedono la schiscetta da portare a casa. Perché? Si vergognano. Quasi 6 clienti su 10 si imbarazzano a chiedere, credono di fare la figura dei pezzenti e piuttosto che uscire col pacchettino in mano lasciano tavole imbandite di prelibatezze che vanno a finire nelle spazzatura. Solo il 19,5 per cento dei clienti dà la colpa alla scomodità mentre al 18,3 per cento non gliene frega proprio un bel niente di quel che resta del cibo. Dunque, fatevi sotto cari clienti, esortano osti e cuochi italiani: chiedete e ben volentieri vi sarà dato. Cibo e vino. Le nuove confezioni (che vedete nel disegno) fatte di cartone riciclato sono pure belle, firmate da designer e celebri illustratori. Poi se volete potete pure rimpiattare il rimpiattino..

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