Controcultura

"Che festa (faticosa) pubblicare Dante"

Il filologo ha realizzato una monumentale edizione della "Commedia" con 4mila varianti

"Che festa (faticosa) pubblicare Dante"

Professore emerito di Letteratura italiana all'Università di Napoli Federico II, filologo, critico letterario e storico della letteratura, presidente della Commissione scientifica preposta all'Edizione Nazionale dei Commenti danteschi. Nessuno più di Enrico Malato ha letto, studiato, commentato - rivoluzionandone l'approccio filologico - le opere di Dante.

Professore, qual è lo stato degli studi danteschi? Cosa è stato pubblicato in questi anni e cosa lo sarà entro il 2021, 700centesimo dalla morte di Dante?

«Gli studi danteschi sono ferventi in tutto il mondo, attestazione di un interesse che non conosce limiti, né di spazio né di tempo. Molto approda a una pubblicistica di tipo divulgativo o scolastico, comunque utile, talvolta importante. Sul piano della produzione scientifica il bilancio è più delicato. Nel 1988 è stato fondato il Centro studi Pio Raina per la ricerca letteraria, linguistica e filologica, con un intenso programma di attività: ha realizzato, fra l'altro, una Bibliografia generale della lingua e della letteratura italiana (BiGLI), ormai in database, con oltre 500mila dati archiviati; l'Edizione Nazionale delle Opere di Pietro Aretino, quasi ultimata, e delle Opere di Niccolò Machiavelli, che si chiude in questi giorni con una monumentale edizione dell'Epistolario. In tale programma uno spazio primario è stato riservato a Dante, operando in stretta sinergia con la Casa di Dante in Roma. È stato possibile aggregare una squadra di maturi ed esperti studiosi, non solo italiani, e giovani ricercatori, che con varietà di ruoli e di impegni accoglie più di un centinaio di membri. Il bilancio, ad oggi, è questo: una Rivista di studi danteschi, semestrale, che ha pubblicato 40 volumi per oltre 9000 pagine complessive; un'indagine storica sul secolare commento alla Divina Commedia, approdata alla Edizione Nazionale dei Commenti danteschi, con circa 50 volumi pubblicati, alcuni monumentali; una Nuova Edizione Commentata delle Opere di Dante (NECOD), prevista in 7 volumi per 15 tomi, dei quali 5 per 9 tomi pubblicati, gli ultimi 2 per 6 tomi previsti in uscita entro la scadenza del Settecentenario. Più, altre serie e pubblicazioni sciolte, per complessivi circa 190 volumi, che costituiscono il monumento cartaceo eretto, nello spirito di Michele Barbi, dal Centro Pio Rajna e dalla Casa di Dante in Roma per onorare il poeta nel Settecentario della morte».

Qualcuno dice che si organizzano troppi convegni su Dante, ma poi mancano le opere.

«Convegni se ne fanno, più e meno validi, comunque utili a tenere in prima linea il nome di Dante. Ci sono edizioni delle opere, molte con destinazione scolastica, spesso decorose, qualcuna buona; su altre, parole non ci appulcro... Ma ora, come detto, sta per concludersi il progetto NECOD. E sarà interessante rilevare che i testi NECOD sono stati scelti dalla Societé Dantesque de France a fondamento di una nuova edizione in preparazione del Tutto Dante francese, contributo della Francia alle onoranze del Settecentenario».

La nuova edizione della Commedia da Lei curata contempla 4mila varianti. Come mai così tante?

«Il numero naturalmente è approssimativo e include piccoli interventi di punteggiatura o minime varianti grafiche. Ma ci sono interventi sostanziali. Tra i molti, a titolo d'esempio, ricorderò le peccatrici del Bulicame (Inf., XIV 80), che sono in realtà le pettatrici, pettinatrici, operaie addette alla cardatura del lino; il Monte Viso di Inf., XVI 95, che non è il Monviso, dove sono le sorgenti del Po, ma un Monte Veso dell'Appennino tosco-emiliano, dove, a centinaia di chilometri di distanza, sono le fonti del fiume Montone, che sfocia presso Forlì, cui si fa esplicito riferimento nel testo; le famose scalee/ che n'avean fatto iborni a scender pria di Inf., XXVI 13-14, che non sono le scale che avevano reso iborni, inteso come eburnei, pallidi, Dante e Virgilio, ma i borni, gli spuntoni di roccia sporgenti dalla parete rocciosa, che i due poeti avevano usato come scalini nello scendere prima. La quantità degli interventi dipende dall'estremo degrado del testo nella secolare trasmissione manoscritta, dove ogni copista, copiando, ha introdotto i suoi errori: difficili da riconoscere come tali (in senso tecnico, come deviazioni dal dettato dantesco), per ricostruirne la lezione originale».

Qual è la grande difficoltà, la vera sfida, in un nuovo commento alla Commedia?

«La Divina Commedia è un condensato enorme di messaggi, dati, note didascaliche, suggestioni poetiche, sul quale si è spesa e spesso smarrita l'esegesi plurisecolare. Esporre tutto questo in forma piana, accessibile, rendendo conto dei problemi storici dell'interpretazione e proponendo un senso plausibile, con le ragioni del fraintendimento precedente, è impresa di tale difficoltà che intender non la può chi non la prova. Se il risultato vuol essere non un commento quale che sia, piuttosto una esibizione utile a chi la esibisce che un contributo oggettivo al progresso della conoscenza della poesia di Dante».

Secondo Lei le celebrazioni dei 700 anni saranno all'altezza dell'evento? Si parla di migliaia di iniziative: non si rischia di disperdere forze, energie e fondi?

«Ho sentito dire di 460 iniziative formalizzate, più altre non classificate. Sarà un carosello travolgente: ed è giusto che sia così, perché è Dante, nel Settecentesimo anniversario della sua morte, ed è giusto celebrarlo, sollecitare l'attenzione su di lui di tutti coloro che possono e devono amarlo. Ci sarà una grande effervescenza di bolle di sapone, che avranno il loro naturale ciclo di vita, un tripudio di palloncini colorati, che saliranno gioiosamente verso il cielo. Poi si vedrà quanto di concreto e durevole sarà stato effettivamente realizzato».

L'Italia, e l'Europa, sono consapevoli che devono a Dante la propria identità culturale, o l'hanno dimenticato?

«Credo che le persone più responsabili non ne abbiano perduto la consapevolezza. Il mio sforzo, con la NECOD, è stato anche, proprio, richiamare questa realtà. Dante è l'assertore e l'emblema di quei principî che sono il fondamento della civiltà moderna, affermati nel motto ideologico della Rivoluzione francese e assunti poi a fondamento della Dichiarazione dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite: Liberté, egalité, fraternité. La Divina Commedia, che racchiude tutto questo, si pone per noi come il Tresor di Brunetto Latini per i contemporanei: uno scrigno prezioso che contiene i pezzi più pregiati della nostra cultura, della nostra civiltà, della nostra identità storica. Dovremmo riprendere e assumere per noi l'esortazione di Brunetto a Dante nell' accommiatarsi da lui: Sìeti raccomandato il mio tesoro».

La lingua di Dante è ancora la nostra lingua?

«La lingua italiana è la lingua di Dante: l'unica lingua di cultura in Europa che nasce e si consolida sul fondamento di un'opera letteraria, a un'altezza cronologica in cui le altre andavano cercando una strada che troveranno soltanto nel Cinquecento; ed è l'unica che si afferma su basi così solide che durano sostanzialmente inalterate ancora oggi, a settecento anni dalla sua fondazione. Così che oggi siamo i soli, in Europa, in grado di leggere un testo del Due-Trecento, e capirlo, senza la mediazione di un traduttore».

E ora la domanda più difficile: perché 700 anni dopo, è ancora importante rileggere Dante?

«Perché è sempre un tesoro di poesia che, per chi sappia capirlo, offre una ricompensa, all'impegno della lettura, che non ha uguale.

Ma soprattutto perché a lui è legata l'origine della nostra lingua, il fondamento della nostra cultura, che sono i tratti identitari e irrinunciabili del nostro essere Italiani, Europei, uomini del XXI secolo che credono in certi valori e intendono conservali, contro ogni forma di degrado o di sovvertimento».

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