Cultura e Spettacoli

Che guaio essere single in Sicilia

«7uomini7» di Silvana Grasso è l’esilarante racconto di una giovane vedova in quel di Gela

Quando in Sicilia si dice «buttanona» e vi si aggiunge a mò di qualificativo-accrescitivo-superlativo «sperta e pericolosa», si vuole indicare una donna forte, indipendente, fascinosa, colta. E se si qualifica così una giovane vedova dai capelli rossi, non c’è scampo. L’allarme per le «maritate», soprattutto se il posto si chiama Gela e tutto avviene nel circolo nautico della cittadina (nome Le Cozze), è scontato.
Pubblicato dall’editore palermitano Sergio Flaccovio 7uomini7, è un autoironico ritratto di Silvana Grasso, una delle autrici più coccolate da Einaudi (per il quale ha pubblicato tra l’altro Ninna nanna del lupo e L’albero di Giuda, autrice anche per Rizzoli, con La pupa di zucchero e Disio) che ha inventato, prima di Camilleri, un genere letterario dove l’italiano si mischia con il siciliano, ma anche con il greco, considerato che la Grasso a Gela di mestiere faceva proprio la professoressa di greco.
Un linguaggio divertente, umorale, capace di esprimere stati d’animo e tracciare esilaranti descrizioni ambientali. Una storia vissuta realmente dall’autrice dopo la morte del marito, avvenuta quando lei era già una scrittrice affermata. «La mia solitudine vedovile - racconta la Grasso - non poco inquietava le clubiche signore, assalite da amletici dubbi, minacciate dal mio essere scompagnata e, quindi, di nuovo disponibile nel mercato, vario e vago delle single di Gela». E così per la sicurezza delle donne del club, tutti si danno da fare per neutralizzare questa mina vagante.
I sette uomini sette del titolo sono i primi incontri a cui si sottopone la Grasso per rassicurare il suo ambiente, dopo la descrizione del primo periodo di dolore. E quando l’autrice riconosce che l’unico modo per sottrarsi a tuttò ciò e per tirarsi fuori dalla depressione è «recitare il copione che il Club aveva scritto per me... Vedermi vivere come i soci volevano e credevano che io vivessi», inizia la sua elaborazione del lutto. All’insegna del «volevano che mi esibissi in performance pseudo erotico-sentimentali? Mi sarei esibita», avvia la carrellata di incontri. Totò, dottore in agraria, 46 anni, occhi azzurri, magro, «voce impostata e tutta l’aria d’essere buttanisco». È l’unico che non si presenta ad un pranzo prenatalizio di oltre 5 ore con venti portate da lontani parenti. La vedova lo chiama il giorno dopo, gli chiede come mai non era presente e così il primo incontro con uno che si presenta in Panda, definendosi «ex-sessantottino» e in un crescendo di equivoci si scopre soltanto un «ladro di polli!» e dei sigari che un tempo erano del marito.
Poi arriva Rolando il magistrato, di Milano, portatole dalle socie del club con la speranza che se la porti al Nord. Dopo un’estate di rapporto platonico (preoccupante per le stesse socie), la Grasso lo invita a cena. Candele profumate e incenso, menù romantico e defatigante. Tutto necessario visto che il giorno dopo Rolando sarebbe tornato a Milano, lasciandola così «fidanzata ma libera di restare felicemente a Gela». La serata è tutta da leggere e la sua ingloriosa fine costringe la protagonista «a tornare al club con costume intero e pareo di velo leopardato», pronta alla nuova caccia. E così mentre scrive il nuovo romanzo La pupa di zucchero arriva Romeo il barone. Quarantanove anni, «cute lucida e culo basso, anzi bassissimo e scatasciato». Ma scapolo, anche se viveva nel palazzo avito con la sorella. Altro fallimento, altri tentativi andati a vuoto, e intanto la scrittrice completava il suo ultimo libro Disio, non mettendo più piede al club Le Cozze, che «mi manca. Guardando dal capannone per le barche, pitturato di rosso, m’assale la malinconia».

Per l’ottavo tentativo «ce la metterò tutta», promette.

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