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Che pena lo scrittore che fa l’esattore fiscale

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di Giovanni Sallusti

Dall'engagement totale, per la costruzione di infernali paradisi in Terra, alla pignoleria piccina sul codice violato, su uno scontrino non battuto. Anche così può morire il (falso) mito della letteratura impegnata, per svuotamento interno. L'eroe di questi giorni è uno scrittore, o meglio è l'autore di Generazione mille euro, ritratto che più furbetto non si può del giovane precario, non a caso incensato in ogni interstizio della stampa progressista, e del suo seguito, «Berlino sono io». Alessandro Rimassa si è meritato una pagina del Fatto e la prima serata di Gad Lerner, tempio laico della religione dell'«impegno» politico-giornalistico, per un atto. Non si è recato, come Sartre, a berciare di esistenzialismo in una fabbrica occupata dagli operai, né ha preso a schiaffi gli intellettuali borghesi come «correzione surrealista» alla Breton, né ha scritto come Pasolini articoli che muovendo dalla certezza apodittica «Io so» svisceravano qualsiasi complotto degli ultimi decenni. No, Rimassa ha chiesto lo scontrino fiscale a un panettiere. Per sé, e per i diciassette clienti che lo avevano preceduto nel gustare la pizza di «Princi», esercizio in centro a Milano dove aveva riparato di buon mattino, a ruota di una (impegnatissima, immaginiamo) serata in discoteca. Azione tanto giusta da essere ovvia, laddove gli atti degli scrittori rammentati in precedenza oscillano dal bullismo intellettuale alla comicità involontaria. Questa, è «educazione fiscale». «Lo scrittore lancia l'educazione fiscale», ha titolato proprio così il Fatto, riecheggiato da Lerner che lunedì nel suo salotto ha ribadito con insistenza sospetta il valore dello «scrittore» Rimassa. Perché se si trattasse del cittadino Rimassa, o del cittadino Rossi, che ripristinano l'ovvietà fiscale in una panetteria milanese a tarda notte, con tanto di chiamata alla Guardia di finanza, l'applauso vien da sé. Invece, i sacerdoti dell'impegno italico ci vogliono convincere che proprio nel suo essere scrittore, sta la grandezza del gesto, che diventa un gesto autoriale, metafisico. Il coraggio dello scontrino, la rivolta esattoriale: anche così muore il mito dello scrittore impegnato. Con l'atto che ognuno porta dentro di sé fin dai banchi delle elementari, la spiata alla maestra, con il puntiglio burocratico che sostituisce la profezia avveniristica, e lo scrittore diventa contabile. In senso letterale: nelle interviste che gli stanno piovendo addosso in continuazione (una anche su Panorama) e nelle comparsate tivù, Rimassa c'intrattiene sul calcolo realizzato in tempo reale: «Nel corso di una notte passeranno di lì almeno 500 persone. 500 pezzi di pizza da 3,50 euro sono un totale di 1.750 euro evasi». Nulla sfugge allo scrittore-esattore, che come tale è burocraticamente modesto, non pretende di raccontarti la sua verità sull'uomo e il mondo, ti dice che «è solo questione di educazione, di educazione fiscale». Dalla rieducazione maoista per il nemico di classe alla rieducazione dello scontrino per il nemico del Fisco, anche così muore il mito dello scrittore impegnato. Un tecnico del codice, un impiegato catastale, infine, e probabilmente è l'approdo definitivo, un agente di Equitalia. Una volta lo contestavano, il Sistema, lanciavano strali generici e pericolosi contro l'istituzione, fino a sussurrare con Sciascia «né con questo Stato né con le Br», ma ogni tanto ci aprivano squarci di vita, di passione autentica ed errori titanici.

Adesso, fanno gli esattori per conto dello Stato, i controllori del comma e dello scontrino. Ci hanno guadagnato in ragione, ma è una ragione misera, banale, il cui unico punto di contatto con la scrittura è la notifica. Generazione mille euro. Al netto delle tasse, chiaramente.

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