«Che tensione in quel governo ma con le mie rime Prodi rideva»

da Roma

Senatore Sircana, alcuni suoi sonetti su Unione e Pd, composti quando era portavoce del governo Prodi, sono ormai di dominio pubblico. Tutti però si domandano…
«Alt. La prima domanda, se permette, vorrei farla io. Posso?».
Se crede…
«Ok, avete fatto “tana” e trovato da qualche parte questi benedetti sonetti. Non posso negare che siano i miei. Ma le chiedo di dirmi chi, tra gli amici fidati, ve li abbia passati. Sa, tanto per sapermi regolare in futuro... ».
Guardi, non…
«Va be’, va’ be’, conosco già la risposta. La fonte non si rivela e via discorrendo. Parentesi chiusa».
Ci spiega adesso come mai, nel bel mezzo di riunioni anche importanti, lei per forza di cose si distraeva e magari se la rideva, scrivendo sms in rima?
«Non accadeva sempre. Ma ogni tanto, nei momenti di stanca, mi mettevo lì e componevo, come dite voi, magari per sdrammatizzare alcuni momenti pesanti, di tensione. Un modo per far calare un po’ la temperatura, che nei due anni di nostro governo, si sa, è sempre stata alta».
Sì, di certo i destinatari dei suoi messaggi via cellulare sorridevano. Ma a pochi metri di distanza da lei c’era chi, nel frattempo, si accapigliava.
«Non esageriamo. Il mio era solo un modo di comunicare all’esterno, magari buffo, per rispondere a chi, pur facendo parte dello staff, non partecipava a quelle riunioni e ti chiedeva: “Come va?”. Spesso, tra l’altro, mandavo un sms anche allo stesso Prodi, che ogni tanto sobbalzava, ma che aveva chiaro così il mio punto di vista su ciò che stava avvenendo in stanza».
L’ex premier quindi sapeva. Ma apprezzava il suo repertorio?
«Guardi, credo che Prodi abbia letto quasi tutto ciò che ho scritto. E devo dire che, quando si trattava di testi creati bene, si sbellicava dalle risate».
Addirittura?
«E sì, perché a differenza di ciò che si possa pensare in giro, il presidente è dotato di un grande senso dell’humour e… ».
(squilla il cellulare, Sircana legge l’sms e ride).
È qualcuno che commenta i suoi sonetti?
«No, è mio figlio».
E cosa le scrive, sempre che non siano fatti privati?
«Mi ha mandato un messaggio in rima».
Il dna non mente. Ma cosa ha composto il giovane Sircana?
«Giovane? Insomma, ha 35 anni».
Senatore, glielo chiedo di nuovo. Cosa le scrive?
«Va bene. Leggo: “Papà, mi hai attaccato un tic, da oggi ti scrivo con la mia bic, ogni irriverente e riservato mio trip”. Tutto qua».
Sì, ma non può negare che gli ha dato l’esempio da seguire.
«Può darsi, ma per quanto mi riguarda posso dire che mi sono sempre piaciuti i giochi di parole, gli abusi che si possono fare con il linguaggio. Di certo non ho una vena poetica, e non ho nessuna pretesa in tal senso. Io creo semmai “filastracche”, ovvero filastrocche stanche».
Sarà, ma qualcuno dei protagonisti, leggendole sul Giornale, si sarà arrabbiato.
«Secondo me nessuno se la prenderà. Anche perché, in verità, non avete trovato quelle peggiori... E poi, diciamocela tutta. Chi fa politica deve avere anche un minimo di ironia, senza prendersi troppo sul serio o stare piantato sul piedistallo. Insomma, tutti devono avere il diritto-dovere di prendersi un po’ in giro. Anche se a volte devi stare attento, perché rischi di rovinarti».
Le è capitato?
«Be’, mi è successo di sfottere in passato qualche capo. E per le mie battute di spirito a volte ho rischiato di giocarmi la carriera».


Grazie, senatore…
«Scusi, ma vorrei aggiungere un’ultima cosa».
Prego.
«Visto che avete dedicato due pagine del vostro quotidiano ai miei sonetti, per par condicio adesso dovreste prevederne quattro per le poesie di Sandro Bondi. Lui, d’altronde, è ministro».

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