Che trauma, «Doctor House» non ci curerà più

Non servon più le stelle, spegnetele anche tutte, imballate la luna, spegnete pure il sole, svuotatemi l’oceano, sradicate il bosco, perché ormai più nulla può giovare e vietate le serie televisive, vi prego. Perché oggi, negli Usa, finisce Doctor House, tanto per dirne un’altra a cui W.H. Auden non poteva pensare, altro lutto d’amore a cui bisogna prepararsi, altro trauma incurabile. I telefilm andrebbero vietati ai minori perché ci si affeziona troppo, perché da piccoli non si cresca nell’illusione, perché siamo tutti traumatizzati, tutti orfani di fantasmi. Aldo Grasso la fa facile, ha scritto che stava diventando ripetitivo, perché bisogna essere senza cuore, bisogna avere molto fegato per fare il critico televisivo e non affezionarsi.
Io non mi sono ancora ripreso dallo stupro di essere stato abbandonato dalla mia famiglia, anzi le mie famiglie: la famiglia Robinson, la famiglia Jefferson, la famiglia Drummond, e adesso ci tolgono anche Doctor House, uno scandalo. Di questo dovrebbe parlare Santoro a Servizio Pubblico, chissenefrega della crisi e di Beppe Grillo.
Altro che Babbo Natale non esiste, altro che Dio non esiste, lo abbiamo sempre saputo, ma che perfino Doctor House non esista e finisca no, non è accettabile. Ogni serie che finisce è un trauma esistenziale, lo abbiamo imparato fin da giovani, a tal punto che fatico sempre di più a vedere la differenza tra Happy Days il telefilm e Happy Days di Beckett: ho comprato il cofanetto, l’ho messo vicino al libro e non oso infilarlo nel Dvd, ho paura di soffrire troppo.
Tra l’altro con Doctor House la vita ci aveva già inferto una ferita quasi mortale in corso d’opera: alla fine della sesta stagione era morto il doppiatore, Sergio Di Stefano, sostituito da Luca Biagini, che sarà anche bravo ma non era più la voce di House, e già un pezzo di illusione si era incrinata, anzi di realtà, perché in sostanza è più presente House nella nostra vita della maggior parte delle persone che frequentiamo.
Insomma io non ci posso credere che se uno si sente male e cade per terra con le convulsioni non parta la sigla e non venga portato a sirene spiegate lì al Princeton-Plainsboro, dove ci aspettano Chase e Foreman e Cameron e Tredici e lui, Doctor House. Qui al massimo ti portano al Gemelli, se ti va bene al San Raffaele, se ti va male in un pronto soccorso qualunque, ma non dal Doctor House, quindi meglio non sentirsi male e se svieni inutile fare il 911, tanto vale morire a casa.
Quando vai dal tuo medico di base ti senti sconfortato, lo guardi e pensi: cosa vuoi che ne sappia, lo senti da come parla. Il tuo medico ignora la sindrome di Guillan-Barrè, e non saprebbe mai riconoscere una Erdheim Chester, noi sì. Perché a forza di guardare Doctor House abbiamo imparato a fare le differenziali e ne sappiamo più noi, e sappiamo che con metatrexato, prednisone, interferone, epinefrina e immunoglobuline possiamo curare praticamente tutto, bisognerebbe tenerli sempre in casa. E al primo mal di testa Vicodin. E anche senza mal di testa Vicodin. Alla fine le diagnosi conviene farsele da soli, infatti quando non mi sento bene io parlo con House tra me e me e quando non ne vengo a capo House dice: «nel dubbio, curiamole tutte».
Va bene, siamo adulti, siamo razionali, bisogna accettare la realtà. House non esiste, il mio migliore amico non esiste, l’uomo più fico del mondo che mi salverebbe la vita non esiste, ma almeno la serie poteva continuare all’infinito, come Beautiful, di cui non me ne frega niente eppure non finisce mai, beate le casalinghe beautifuliane. Noi housiani invece dobbiamo rassegnarci, non potendoci neppure attaccare a Hugh Laurie perché Hugh Laurie non è Doctor House e non sa niente di medicina, stava solo recitando, è solo un attore, e ogni attore, alla fine, è solo una puttana. Chissà cosa crede di fare, anche Hugh Laurie, dopo Doctor House, non si illuda neppure lui. E allora fermate tutti gli orologi, isolate il telefono, fate tacere il cane con un osso succulento, chiudete i pianoforti e fra un rullio smorzato portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.

Auden pensava che l’amore fosse eterno: invece aveva torto. Io credevo che House fosse eterno, e avevo torto anch’io, e senza di lui mi sento già male. Tanto non è mai lupus, bella consolazione, e speriamo che almeno questo sia vero.

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