Checco, Vincenzo, i barbari, Baricco e il piacere del successo

Checco, Vincenzo, i barbari, Baricco e il piacere del successo

(...) Vado in ordine sparso e cito eventi diversissimi, uniti solo dall’unico filo rosso del successo popolare. Successo diverso, che è possibile calcolare solo con unità di misure incredibilmente lontane fra loro, ma comunque grande successo. Ognuno a modo suo. E così mi piace citare, ovviamente, la mostra con Gauguin e Van Gogh, griffata Marco Goldin; ma anche la presentazione del De Andrè riletto dalla London Simphony Orchestra che ho avuto la fortuna di presentare con Dori Ghezzi. Oppure, gli oltre 800 (ottocento!) spettatori che hanno affollato i Saloni del Maggior e del Minor Consiglio per il primo incontro delle lezioni di storia antica dedicato ai barbari, non propriamente una passeggiata di salute.
Eppure, per l’ennesima volta gli appuntamenti della Fondazione per la Cultura di Luca Borzani e della FEG di Duccio Garrone e Paolo Corradi, due che se non ci fossero bisognerebbe inventarli, hanno fatto il pieno. E ricordiamo che qui si parte da una consistente quota di mecenatisimo e di investimenti privati, quelli della Fondazione Edoardo Garrone, per l’appunto. E poi, sempre alla Feltrinelli, l’avvincente presentazione di Mr. Gwyn, l’ultimo romanzo di Alessandro Baricco. Uno che quando parla, qualsiasi cosa dica, riesce ad essere avvincente. Per la cronaca, l’incontro è iniziato alle 21 in punto e l’ultimo lettore se ne è andato da via Ceccardi con la copia firmata alle 0,35. E poi, e poi, e poi. L’emozionante presentazione del libro di Arrigo Petacco dedicato ai prigionieri italiani nei campi inglesi e americani, con la passione di Gianni Plinio e l’onestà intellettuale e il rigore storico di Borzani.
Diversissimo, ma sempre nell’alto dei cieli della cultura genovese, il concerto di Jovanotti al 105 Stadium, organizzato con l’appoggio genovese del Politeama. Due ore e mezza tiratissime per ballare ed emozionarsi: il più bel concerto di Jovanotti e, conseguentemente, anche degli ultimi anni a Genova. Ma è andato benissimo anche lo Zucchero di Vincenzo Spera, due sere con il cantante luneziano in grandissima forma vocale. Cantanti diversi, pubblici diversi, stesso risultato: pienone. E senza chiedere un soldo di denaro pubblico, visto che gli organizzatori rischiano del loro.
Proprio Spera - anche con il suo coraggio di parlare sempre, senza risparmiare le verità scomode a chi non le vorrebbe sentire - è lui stesso una rockstar. Soprattutto, è un gentiluomo. Prima ancora che questo venisse sancito ufficialmente con una cerimonia in prefettura, con la consegna della medaglia, con la citazione nel sito ufficialissimo del Quirinale e con la nomina a «Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana». Dalle polemiche con un Carlo Felice sempre più avvitato su se stesso e incapace anche di capire l’importanza degli affitti per i concerti di musica leggera per il bene dei propri conti, a quelle sui manifesti del concerto per gli alluvionati, Spera non si risparmia nulla. E ricordiamoci che è lo stesso Spera che porta il grande spettacolo a Genova, sempre e comunque. Lo stesso, ad esempio, che regalò alla città la grande serata al palasport di Fiumara con Checco Zalone. Uno che non piace alla gente che piace, uno che fa titolare a Michele Anselmi sul Secolo XIX: «Suicidio di un comico» e iniziare l’articolo sullo spettacolo di Checco in televisione (obiettivamente meno riuscito di quello dal vivo, perchè troppo laccato) con queste parole: «Finito. Checco Zalone (...) è artisticamente finito». Anselmi è un ottimo giornalista, molto informato e nostra vecchia conoscenza, visto che ha collaborato per anni col Giornale. Ma credo che, mai come questa volta, si sbagli, valutando come volgare un’operazione altissima, che ricorda Cecco Angiolieri e Ruzante, Giulio Cesare Croce e Teofilo Folengo. Così come si sono sbagliati i suoi dirimpettai che hanno stroncato Fiorello dopo la prima puntata, effettivamente la più lenta di tutte, ma comunque un prodotto di cesello in una tivù standardizzata.

Ma il problema non starà proprio nel fatto che Fiore e Checco fanno pubblico, che ipnotizzano i telespettatori, che riempiono le sale cinematografiche con il più grande successo di sempre in Italia? Il problema non sarà che piacciono alla gente, al popolo? Reali, non tecnici? Domande.

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