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Lo chef del Quirinale che fa mangiare le regine e cucina solo all'italiana

Nel palazzo più importante della Repubblica è entrato giovanissimo Oggi è il numero uno. E ha un segreto: mai ingredienti stranieri

Lo chef del Quirinale che fa mangiare le regine e cucina solo all'italiana

Come si organizzano pranzi e cene quando al Quirinale salgono politici e diplomatici? A questa domanda c'è solo un uomo che può rispondere. È Fabrizio Boca, executive chef delle cucine del Quirinale. Romano verace, apprezza Alaimo, Esposito, Uliassi, Cracco («Ma io guadagno molto meno di uno chef stellato») e con alcuni degli executive chef dei più importanti capi di Stato appartiene all'esclusivo CCC Club (Club des Chefs des Chefs) coi quali organizza almeno un paio di cene di beneficenza all'anno (nel 2017 sono tre, tutte ospitate in Canada). È orgoglioso di lavorare per la più importante istituzione italiana che da qualche tempo si è aperta ai social, una svolta approfondita di recente anche con la visita del fondatore di Instagram.

Le cucine del Quirinale sono ospitate in ampi saloni sotterranei, a farla da padrone è un ordine meticoloso, tutto è lucente e disinfettato. Le verdure, per esempio, vengono lavate con un particolare macchinario che ionizza per elettrolisi. «Negli ultimi anni - dice Boca - nelle nostre cucine c'è stata una vera e propria rivoluzione. Qui produciamo di tutto: pane, antipasti, primi, secondi e dolci. Per risparmiare, ottimizzare e per non sprecare facciamo rifornimenti mirati, per conservare ci avvaliamo del sottovuoto e dell'atmosfera modificata. Poi programmiamo tutto settimanalmente in base agli impegni giornalieri e istituzionali, alle visite e ai ricevimenti in calendario. Tra le priorità c'è anche l'attenzione e il rispetto per i budget».

Prima di guidare il team di cuochi del capo dello Stato, Boca ha lavorato in diversi ristoranti della capitale e in Sardegna, poi ha fatto delle esperienze in America e a Londra. C'è bisogno di un curriculum particolare per ambire alla sua posizione? «Di sicuro alcune doti sono necessarie: ci vogliono professionalità e passione, dedizione, senso dell'organizzazione. E poi un forte senso di appartenenza all'istituzione. Io al Quirinale sono arrivato per caso, con il tramite dell'istituto alberghiero di Marino, qui le scuole alberghiere sono una presenza fissa. Sono qui da 24 anni e oggi di anni ne ho 48; ho visto succedersi quattro presidenti».

La cucina del Quirinale ha caratteristiche diverse rispetto a quella dei ristoranti di prestigio: «La nostra è fatta su misura, tailor made. E alla base di ogni preparazione c'è sempre molto studio. Rispettiamo gusti ed esigenze (per esempio le intolleranze e le allergie) degli ospiti. Dobbiamo tenere conto della cultura e del luogo da cui provengono e allo stesso tempo esaltare la tradizione della gastronomia italiana. Per questo cerchiamo di valorizzare i prodotti della Penisola: la nostra cucina non ammette ingredienti stranieri. La cosa fondamentale è che non possiamo permetterci di sbagliare un colpo. E anche per questo coordinare una cucina di questo genere è difficile: il nostro non è un ristorante dove i clienti possono tornare, spesso le visite sono one-shot».

Ci sono poi codici e etichette da rispettare: «Innanzitutto riservatezza e discrezione». Quali sono state le richieste più impegnative? «L'ideazione e la preparazione del menù in occasione della festa dei 150 anni dell'unità d'Italia durante la presidenza Napolitano che prevedeva, tra le varie portate, ravioli di pesce tricolore e filetto in crosta di frutta secca. Richieste strane invece non me ne hanno mai fatte. Anche il Presidente ha gusti molto sobri, non fa mai richieste particolari. Quando io e la mia brigata, per qualsiasi occasione, dobbiamo fare delle proposte ci rivolgiamo e ci confrontiamo direttamente con lui, senza alcun tipo di filtro. Il rapporto, devo confessare, è di estrema fiducia».

Il piatto forte al Quirinale sono i primi, quelli che esprimono meglio l'italianità e riscuotono sempre il maggior successo tra gli ospiti. Poi si fa molta attenzione alle presentazioni: «C'è uno studio maniacale da parte di chi si occupa della mise en place e gestisce i servizi inerenti l'ospitalità». Ma molta attenzione va anche all'abbinamento cibo-vino: «Appena formuliamo una proposta di menù creiamo gli abbinamenti. La nostra cantina è molto normale, sobria e non particolarmente rifornita. E anche sull'alcol non esistono problemi o divieti particolari. Ma, come per i menù, poniamo sempre massima attenzione e rispetto al luogo di provenienza e alla cultura degli ospiti. Di conseguenza se nei loro Paesi sono vietati gli alcolici non li proponiamo».

Il pranzo o la cena ufficiale che l'hanno soddisfatta di più? «Ricorderò per sempre quando sono stato ospite della regina d'Inghilterra. Mi ha ripetuto più volte quanto volentieri si ricordava del Quirinale del mio risotto alle erbe. Anche Berlusconi mi ha dato soddisfazione, è una persona estremamente disponibile e gentile, ho avuto più volte occasione di parlargli». Il complimento più bello? «Dopo la cena coi consiglieri che si tiene a fine anno, il presidente Mattarella mi ha chiamato nel suo ufficio per complimentarsi: non era mai accaduto prima». Il potente più goloso? «Obama ha apprezzato molto il tonnarello al ragù bianco». Le first ladies che ruolo hanno nelle decisioni dei menù? «Di solito non intervengono Forse qualche volta in passato avveniva». Talvolta a tavola si prendono decisioni, si siglano contratti o accordi. Vale lo stesso per i politici? Sul tema lo chef del Quirinale non si sbilancia: «Io sto in cucina». Le domande da non porgere a uno chef del Quirinale? «Quelle sul Presidente».

Fra tanti successi, c'è però una cosa di cui Boca si vanta, l'avere contributo, insieme ad alcuni dietisti alla stesura di un volume un po' particolare: «A Tavola! L'alimentazione nella fibrosi cistica»: «Ho rielaborato in modo semplice alcune ricette per aiutare i genitori dei bambini affetti da questa malattia».

Al Quirinale l'attenzione a chi è più in difficoltà si traduce in corsi e stage anche per disabili e down: «Per tutti noi è una grande risorsa, un momento di scambio e di crescita umana e professionale».

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