Chelsea sotto choc Mourinho se ne va ma con 35 milioni

Si è dimesso dopo il brutto avvio in campionato e Champions. Drogba in lacrime. Per sostituirlo si parla di Deschamps (favorito) e Capello

Nemmeno questa volta the special one ha smentito la sua fama. Prima di tirar giù il sipario, Josè Mourinho ha avvertito i suoi fedelissimi con un sms: «Me ne vado» è comparso sul display di John Terry, capitano del Chelsea e ultimamente un po’ meno fedele del solito visto il corpo a corpo verbale di martedì notte tra lui e il suo allenatore («caro JT, ti sei rammollito» la pugnalata di Mourinho) dopo lo stiracchiato pareggio col Rosenborg nell’esordio di Champions. L’ultimo colpo per affondare un rapporto troppe volte speronato dagli eventi. Il braccino corto nella campagna acquisti, la conferma di Shevchenko che il boss vorrebbe sempre in campo, lo staff medico che invece di garanzie gli dava giocatori guariti a metà: proiettili di una guerra sempre meno fredda. Gli undici punti in sei giornate e la magra col Rosenborg han fatto saltare il tappo. Mourinho aveva un contratto fino al 2010: stracciato dopo una separazione consensuale da 35 milioni di buonuscita al portoghese arrivato a Stamford Bridge nel 2004. Due campionati, una FA Cup, due coppe di Lega i suoi trofei. Due semifinali di Champions i suoi talloni d’Achille, ferite insanabili per Abramovich che di vincere solo in Inghilterra si è stufato presto. «La situazione stava precipitando» si legge nel comunicato del Chelsea dove si ringraziano anche i tifosi «per la pazienza in questo periodo difficile». Tifosi che si sono piazzati fuori dallo stadio: cori e uno striscione «Josè Mourinho, simply the best».
Ieri l’addio alla squadra nel centro di Cobham: facce tese, Drogba in lacrime. Il Chelsea è finito nelle mani di Avram Grant, già direttore sportivo. In Israele, lo chiamano un po’ ingloriosamente «il Re delle Isole», perché nelle qualificazioni ai mondiali 2006 con la nazionale riuscì a battere solo le Far Öer e Cipro. Manco a dirsi, Mourinho schifava Grant e i suoi metodi, ma o si è con lui o contro di lui. Non ha mai fatto prigionieri il portoghese. «Non chiamatemi arrogante, io sono campione d’Europa e sono speciale» disse il giorno della presentazione. Fu un diluvio. Abramovich si era innamorato di Eriksson, la piazza voleva confermare Ranieri, Peter Kenyon, general manager dell’oligarca, scelse chi col Porto aveva vinto due campionati, due coppe e la Champions. I suoi Blues non hanno mai convinto il loggione: troppo perfetti per scaldare. E ora la macchina stava perdendo colpi. Spiegazione di Mourinho: «È come per le omelettes e per le uova. Dipende dalle qualità delle uova: se non trovi le migliori anche le omelettes vengono male». Così l’ultimo Chelsea: Malouda, Pizarro. Pub, non alta gastronomia.
Che farà ora? In Portogallo, dopo gli ultimi risultati e con il ct Scolari squalificato per 4 partite, gli darebbero subito la panchina della nazionale. Incassati i complimenti del premier inglese Brown («Uno dei più grandi personaggi del nostro calcio»), se ne starà per un po’ nella casa di Eaton Square con la moglie Tami, l’unica che gli tiene testa, e i due figli. Il Tottenham gli fa la corte, a lui piacerebbe l’Italia. «Logico» pensare all’Inter, Moratti respinge l’ipotesi: «Mourinho da noi? No, no, no».
Per il suo posto, dopo l’interregno israeliano, se ne sentono invece di tutti i colori.

Da Deschamps, che nel Chelsea ci ha giocato ed è quotato 2-1 dai bookmakers, a Hiddink, ct della Russia; da Ramos, ora al Siviglia, a Fabio Capello. Ecco, don Fabio adesso fa il commentatore tv, ma l’Inghilterra l’ha sempre stuzzicato. Capello, the special one. Pare di sentirlo.

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