Chi ha storpiato i nomi originali dei paesi friulani?

Caro Dottor Granzotto, c’è una questione a cui non riesco a trovare risposta, e sulla quale lei, che se non sbaglio ha bazzicato a lungo il Friuli, forse mi può illuminare: chi è lo sciagurato che ha italianizzato la toponomastica friulana? È arrivato il momento di smascherarlo. Per carità, sono il primo ad ammettere che, nel resto d’Italia, Cercivento suona meno esotico di Çurçuvìnt, o Tolmezzo di Tumièç, ma c’è una misura in tutto. Ad esempio il Nostro detesta i toponimi che iniziano per D. Così ecco che Damâr diventa Amaro, Davâr diventa Ovaro, Dièç, poi, diventa Illegio (né mancò qualche forsennato che nell’improbabile Illegio credette di vedere addirittura «IL Legio», la quarantanovesima legione), e giù fino alla Bassa, in cui di fatto non si parla friulano. Altro vezzo dell’ignoto provocatore, la desinenza «acco», stolidamente profusa a piene mani, su decine di toponimi attorno a Ùdin Udine, che in friulano hanno desinenze diverse. Così, ad esempio, Tavagnà e Martignà diventano Tavagnacco e Martignacco. Qualche paese è stato risparmiato: Cordenòns, Chiòns (il comune dove abito), Teôr, ma li si può contare sulle dita di una mano. Forse il vertice della goffa mascherata si toccò col mio paese natale, che da secoli portava il nome, non friulano ma tedesco, di Raibl e fu trasformato nel frankensteiniano «Cave del Predil», che già nel 1924 Giovanni Marinelli definiva «nome infelicissimo». Né mi si venga a dire che l’unificazione nazionale eccetera imponevano lo scempio: come giustificazione è ridicola. Mi pare che i toponimi sardi siano stati sostanzialmente risparmiati, senza che l’integrità territoriale e culturale dell’Italia una e indivisibile andasse in pezzi.

Insomma, dottor Granzotto, chi è l’assassino dei toponimi friulani? Non sarà per caso il Vate, che tra un arzente e una Rinascente si è arrogato il diritto di stabilire, lui, quali fossero i nomi «giusti» dei nostri paesi?

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