«Chi lo ha ucciso non lo conosceva»

Claudia Passa

«Non bisogna essere buoni, bisogna essere santi». Oltre alla rabbia, alla commozione e al ricordo, ai fedeli della parrocchia di Santi Fabiano e Venanzio rimangono le parole che don Andrea Santoro aveva tante volte pronunciato. I suoi principi e le sue convinzioni, maturate prima con la formazione, poi con l’esperienza, dunque con lo studio approfondito della realtà islamica, con la passione per il dialogo interreligioso che ieri, dopo trentasei anni di sacerdozio, l’ha condotto al martirio in una chiesa di Trebisonda. La sua chiesa. Il tempio cattolico aperto al culto in un Paese in cui l’evangelizzazione è proibita dalla legge.
Nella chiesa dove per sei anni (dal ’94 al 2000) è stato parroco, don Andrea tornava spesso, costretto per ragioni di visto ad uscire ogni tre mesi dalla Turchia. L’ultima messa nella parrocchia fra la Casilina e la Tuscolana l’aveva celebrata proprio lo scorso 25 gennaio, a conclusione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Poi l’ultimo viaggio. E ora la città di Roma, dove il sacerdote, nato nel 1945 a Priverno, si trasferì con la famiglia all’età di undici anni, si stringe attorno al suo ricordo. Ieri sera a Santi Fabiano e Venanzio è stata celebrata una Messa in suo suffragio. E don Marco Vianello, a lungo suo vice-parroco prima di raccoglierne il testimone, trattiene a stento la commozione quando ricorda l’intenso attivismo di don Andrea, la sua determinazione, lo slancio, i molti progetti cui aveva dato impulso negli anni di preparazione al Giubileo e della missione cittadina.
A volte - ricordano i suoi affezionati fedeli - sembrava burbero, ma solo in apparenza. Al punto che, quando lasciò la comunità di Gesù di Nazareth al Tiburtino per trasferirsi a San Venanzio, ci fu chi lo seguì cambiando parrocchia assieme a lui. Ieri, nel tardo pomeriggio, molti fedeli hanno raggiunto via Terni per raccogliersi in preghiera. Hanno pianto. Hanno ricordato. Hanno rievocato gli anni in cui don Andrea aveva «ridato vita alla parrocchia riempiendola di attività», perché «prima di lui - dicono - non c’era niente». Poi, invece, è arrivato il centro di accoglienza per i tossicodipendenti, dieci posti e un pronto soccorso, tuttora in funzione. I pellegrinaggi in Terra Santa. L’intenso proselitismo fra le famiglie e i volontari da coinvolgere nel progetto avviato in Turchia. «Chi lo ha ucciso - dicono i parrocchiani - non lo conosceva».
È per questo che dalla Turchia la notizia del suo assassinio è rimbalzata drammaticamente a Roma, col suo carico drammatico e lo sgomento della città. Il sindaco Walter Veltroni ha espresso «dolore profondo e inquietudine», il presidente della Provincia Enrico Gasbarra ha invocato «silenzio», il governatore Piero Marrazzo s’è detto «profondamente rattristato e colpito», il presidente del XVI municipio Fabio Bellini ha ricordato la sua idea del «Calendario della pace 2003».
Per Gianni Alemanno, candidato sindaco di Alleanza nazionale, «l’uccisione di don Andrea Santoro è un gravissimo atto di violenza e barbarie. In questi momenti di grande dolore - ha detto il ministro - siamo vicini ed esprimiamo affettuosa solidarietà alla famiglia del sacerdote, alla Diocesi di Roma e al cardinale Camillo Ruini.

Chiediamo che le istituzioni europee pretendano dalla Turchia un immediato chiarimento dell’avvenuto e la punizione esemplare dei responsabili di questo omicidio, per evitare il ripetersi di simili episodi che allontanano la Turchia dall’Europa».

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