Chi insultava i padani, ora li prende a modello

Roma Beceri, ignoranti, xenofobi, razzisti: una volta prevalevano questi e altri insulti per i leghisti. In una delle ultime risse in parlamento dall’Idv li apostrofarono anche come «scimmie».
Ma le elezioni regionali hanno cambiato la prospettiva e adesso tutti si accorgono di averli almeno sottovalutati, questi seguaci di Bossi. Tutti riscoprono il più vecchio partito d’Italia, quello che sa fare politica e sa parlare alla gente. Riconoscimenti e lodi si sprecano. E forse da un eccesso si passa all’altro.
Il Carroccio, da avversario da combattere senza stima, diventa addirittura un esempio da seguire per lo stesso centrosinistra. Il sindaco Pd di Torino Sergio Chiamparino, prototipo del buon amministratore di sinistra ora indicato come aspirante leader, dice che il suo partito non può costruire un’alternativa senza misurarsi con la Lega. «Non è più solo il partito dell’estremismo xenofobo e razzista. Ha presenze territoriali significative, amministratori giovani espressione di quelle realtà, e anche bravi, va detto».
Proprio il radicamento sul territorio fa invidia della Lega. Per questo l’Osservatore romano ha paragonato il Carroccio ai vecchi partiti popolari: Dc e Pci. E il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone l’ha addirittura indicato come esempio a vescovi e parroci.
Il Pd non ha quel rapporto «comunitario e identitario coi territori» della Lega, riconosce l’ex braccio destro di Veltroni, Goffredo Bettini. Per «cambiare rotta», deve «parlare direttamente al Paese e dargli una missione». «Il Pd non riesce a rinnovarsi», fa eco sul Corriere della Sera il direttore del Fatto Quotidiano Antonio Padellaro, e dovrebbe prendere esempio dalla Lega, che «sta tra le persone, socializza e risolve problemi». Il suo «limite» è quello del rinnovamento. Ad esempio: Debora Serracchiani, «che alle europee prese una valanga di voti, che fine ha fatto? In questo alla Lega sono spietati. Porti consenso? Vai avanti». La Serracchiani è all’Europarlamento e si unisce al coro autocritico: «Il nostro partito era abituato a parlare alle masse, ora deve capire che bisogna dialogare con le persone. La Lega lo sa fare, noi no».
Pierluigi Bersani è quasi costretto a precisare: quanto a capacità di star vicini ai cittadini il Pd non ha nulla da invidiare alla Lega. Certo, ammette il leader, il voto soprattutto in Piemonte e Lazio, ha creato «delusione» e «disaffezione».
La mossa dei neogovernatori leghisti Cota e Zaia contro la pillola abortiva ha poi risvegliato l’interesse del mondo cattolico. Il direttore di Avvenire Marco Tarquinio li difende da Bersani che aveva parlato di «imperatori». E l’ex teodem del Pd ora Udc Paola Binetti plaude alla «svolta nel senso della cultura della vita» e dei valori cristiani.

Per lei, non si può più considerare la Lega come il partito «che scendeva dalle Alpi al mare con i riti del dio Po e dell’ampolla». Lo stesso leader centrista Pier Ferdinando Casini dice che «la Lega è una grande forza politica e può chiedere alla maggioranza di cambiare la legge e, se vuole, di cambiare anche la 194».

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