Lo schema della sinistra, nell’affrontare la
questione degli indignati e della guerriglia di Roma, si fonda su tre
punti. Il primo è che la colpa dell’accaduto ricade per intero sul
governo, incapace di prevenire i disordini. Il secondo è che i
disordini stessi vanno attribuiti esclusivamente a qualche centinaio
di black-bloc: infiltratisi in una mite manifestazione di persone
ansiose soltanto di denunciare le ingiustizie del mondo capitalistico e la sofferenza dei giovani. Il terzo
è che la sinistra, nel giudicare l’accaduto, sta tutta dalla parte di
chi manifestava con ragionevole compostezza, e deplora
risolutamente i facinorosi che profittano d’ogni occasione per dare
sfogo ai loro istinti belluini.
Tranne che per le accuse al governo prevedibili
e direi stancamente rituali - il ragionamento è accettabile. Purché
sia sincero. Per dubitare della sua sincerità basta rifarsi alla
fotografia che il Giornale
ha pubblicato ieri in prima pagina, come simbolo della furia
vandalica con cui le forze dell’ordine si sono dovute confrontare. Era
la fotografia d’un ossesso che, a volto mascherato e a torace nudo,
scagliava un estintore contro la polizia.
Come Carlo Giuliani. Il ragazzo invasato della fotografia non ha avuto
per buona fortuna la sorte del povero Giuliani, colpito a morte da un
carabiniere che, aggredito nella sua camionetta e terrorizzato, ha
fatto fuoco. Altri carabinieri si sono trovati ieri in analoga
situazione, e non hanno reagito. Bravi. Ma se per caso uno di loro,
preso dal panico, avesse sparato, quale sarebbe stato l’atteggiamento
dei progressisti che ora si affannano a bollare come teppistiche ed
eversive le male azioni della gentaglia assatanata? Se ci fosse
scappato, com’era possibilissimo, un altro morto, avrebbero
riconosciuto che all’origine della tragedia c’era la delirante smania
di distruzione dei manifestanti?
Proprio il caso di Carlo Giuliani mi fa supporre che le cose sarebbero andate in tutt’altro modo,
e che dalle file della sinistra si sarebbero levati pianti disperati
per la vittima e accuse alla «sbirraglia crudele». Sia chiaro che queste
mie considerazioni prendono spunto dalla fine dolorosa d’un giovane, e
per quella fine hanno il dovuto rispetto. Ma è innegabile che Carlo
Giuliani aveva la mentalità, le pulsioni e le intenzioni di quegli
stessi che hanno messo a fuoco e fiamme il centro della capitale. Genova
come Roma. Devastate dall’imperversare dei black-bloc. Carlo
Giuliani era uno di loro. Sarebbero state comprensibili le critiche
all’arruolamento di quel carabiniere- palesemente incapace di
reggere un’emergenza che ha colpito.
Ma abbiamo assistito a molto
di più, e di molto diverso. Ossia alla santificazione e alla
celebrazione di Carlo Giuliani, indicato come modello di vita e di
pensiero alle giovani generazioni, abbiamo assistito all’ingresso in
politica dei genitori strumentalizzati per fini di propaganda,
abbiamo assistito a cerimonie commemorative con discorsi ispirati di
esponenti della sinistra. Magari di quegli stessi che adesso si
pronunciano con veemenza contro i black- bloc di Roma. Il ragazzo
sbandato che era in tutto e per tutto uguale ai più scalmanati
protagonisti della giornata romana è diventato un modello virtuoso. Di
lui Giuliano Pisapia ha detto: «Era un ragazzo che sognava un futuro
migliore per il nostro Paese e per il mondo».
Sognava alla maniera degli energumeni dai quali si sono dovute difendere le forze dell’ordine. Se quel modo di sognare piaceva alla sinistra, forse dovrebbero piacerle anche i vandali romani. La sinistra è oggi indignata, anche lei, per lo scorrazzare di violenti, ma prima per dieci anni ha celebrato la memoria d’un violento che sventuratamente ha pagato la sua violenza con la vita.
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