Uno che riesce a smentire Leonardo da Vinci merita la vicepresidenza del Csm. Il centrista Michele Vietti, che da ieri è il successore di Nicola Mancino a palazzo de Marescialli, ha reso lettera morta laforisma leonardiano «Chi altri offende, sé non sicura». Già, perché nonostante da mesi insulti tutto il centrodestra, il giurista dellUdc si è assicurato pure le preferenze dei suoi bersagli prediletti: pidiellini e leghisti.
La parabola di Vietti, già due volte sottosegretario nei governi Berlusconi e ora accanito oppositore di tutto quanto aleggia intorno al Cav, insegna che suffragium non olet. I voti non puzzano, proprio come il denaro che secondo leggenda limperatore Vespasiano raccolse dalle cloache che portarono poi il suo nome. I voti basta che arrivino, chi se ne importa da dove. Prova ne sia che ora Vietti - nominato con 24 pareri positivi su 26 del plenum - deve ringraziare per la sua elezione bipartisan proprio quel centrodestra di cui ha detto peste e corna. Quel centrodestra che forse, se fa salire un suo acerrimo nemico ai vertici del Csm, tanto dittatoriale e disgustoso poi non è.
Lontani i tempi della Cdl, in cui Vietti sventolava la bandiera del bipolarismo: «Il mio sogno è avere in Italia un Ppe e un Pse alternativi». Poi Casini si inventò il terzo polo, smontò il predellino e Vietti si ritrovò in trincea a combattere gli ex amici. Negli ultimi anni, poi, i toni della sua polemica si sono alzati. «Il Pd ha sbagliato a fidarsi di Pdl e Lega», vaticinò. E ancora: «Tremonti commissaria il Parlamento», «il Pdl sulle liste hanno dimostrato straordinaria superficialità, chissà come faranno le riforme!». Ogni giorno un appunto, un colpetto, un pizzicotto. Minuto e costante come la tortura della goccia dacqua in testa, Vietti ha cucito critiche ad ampio spettro, da Cosentino sfiduciato a Gasparri «grande inquisitore».
Insomma, una voce di sinistra nonostante laggiù, a sinistra, Michele non ci sia mai stato e lambiente gli faccia pure un po schifo. «È di destra, ma ha scelto di stare con la Bresso», disse di lui il cugino ex Udc Massimo Introvigne prima delle Regionali. Eppure Vietti, uomo da gessato firmato, Rotary e golf club, sta con i No Tav e viene ribattezzato «kompagno» a Torino. Roba da crisi didentità, oppure mimetismo da vecchia volpe democristiana. Logico comunque che dopo qualche mese gli sia venuta unaristocratica allergia a cotanto popolo. E altrettanto logico che abbia accolto turandosi il naso i voti del più affine centrodestra, mangiando nel piatto dove ha sputato.
Eppure, coerenza vorrebbe che Vietti disdegnasse almeno il beneplacito della Lega. Perché è proprio il Carroccio la sua personale Moby Dick. Tanto da trafiggere di arpioni e sarcasmo ogni singolo figlioccio di Alberto da Giussano: «Violano sistematicamente il principio di solidarietà, disprezzando alcune Regioni», «non presenziano alle manifestazioni per lUnità dItalia, pensano ancora alla secessione», «se vincono al Nord è un grave danno per il Paese». E giù con i carichi: «Anni fa la Lega era panteista e protestante: ora pretende di usare il crocifisso per darlo in testa agli immigrati»; oppure: «Cota fa ridere, è patetico quando fa il SantUffizio e tira i vescovi per la tonaca. Sembra piuttosto il Mago Otelma». Parole caute e moderate. «Larmamentario delle camicie colorate - usava dire il Vietti da battaglia campale - è di una debolezza invincibile: unidea di azione di matrice fascista e luso strumentale della religione». Per poi concludere con laccusa di colonizzazione del Vaticano: «I leghisti vanno alle sagre e chiedono ai preti di benedire le scuole: svuotano le strutture organizzative della Chiesa fino a sostituirsi ad essa». Perbacco. Un dubbio sorge dallacqua santa: come fa un cattolico ad annoverare tra i suoi sostenitori questi Unni pronti a demolire Sacra Romana Chiesa?
La risposta la diede lo stesso Vietti, in unintervista a Giancarlo Perna.
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