Chi si aspettava battaglia sulla mitica cima dei Pirenei è rimasto nuovamente deluso: la montagna dei giganti partorisce il patto a tavolino. I due fanno il vuoto, poi decidono di spartirsi il bottino: Andy vince la tappa, lo spagnolo resta leader

Tourmalet Il Tourmalet non partorisce un topolino ma un patto a tavolino. Questo Tour finisce in pratica come era cominciato e proseguito: con poco pathos, poco agonismo e un bel inciucio tra i due, alla faccia di chi aveva visto trame e colpi bassi.
Un Tour davvero bruttino e poco spettacolare, dove la sfida è tra quei due, ma alla fine lo sfidante non può fare più di ciò che ha già fatto e usa la tappa regina per sistemare la classifica e mettere al sicuro il secondo posto. Ci si attendeva la battaglia, la resa dei conti, il grande attacco di Andy Schleck: nulla di tutto questo. A 13 km dal traguardo il gruppo conta ancora più di quaranta corridori. Cose da pazzi. E dire che gli ingredienti per far saltare il banco ci sono tutti: col de Marie-Blanque, col du Soulor e arrivo su in cima al Tourmalet. Se non bastassero queste tre montagne, ci sono quasi tre settimane di corsa, più pioggia, vento e gelo (in cima ci sono 2 gradi). Se Schleck ha intenzione di far saltare il Tour e provare a vincere la Grande Boucle, può farlo ma serve coraggio. Invece arriva ad attaccare la maglia gialla quando al traguardo mancano 10 km. L’intenzione è chiara: grazie allo spagnolo, vuole mettere al sicuro la piazza d’onore, che è minacciata dalla cronometro di domani, dove Schleck è certamente più penalizzato rispetto a Menchov e Samuel Sanchez su quei 52 chilometri piatti piatti che porteranno i corridori da Bordeaux a Pauillac. Così la montagna non partorisce il topolino, ma un bel patto a tavolino, alla faccia di chi li voleva litiganti e poco avvezzi al «fair play».
Finisce tra abbracci e baci: alla faccia della rivalità. Non c’era da fidarsi e nemmeno da farsi illusioni: infatti anche la tappa regina, quella del Tourmalet, ha regalato solo qualche scampolo di emozione. Diciamo solo qualche brivido: di freddo. A passeggio sul Col de Marie-Blanque, lo stesso su Col du Soulor. La sfida si accende solo a 10 chilometri dal traguardo, quando Andy Schleck scatta e Alberto Contador gli risponde. I due prendono e se ne vanno: fine delle trasmissioni. Tappa simbolo di un Tour mediocre. Dicono che è il ciclismo moderno, quello lontano dalle farmacie e più vicino alla fatica più vera. E il Giro d’Italia? Come mai lì se le sono date di santa ragione e lo spettacolo c’è stato dall’inizio alla fine? Semplicemente perché il Tour è vittima del proprio gigantismo. Troppo grande e troppo importante, da condizionare tutto e tutti. Si corre per vincerlo, ma soprattutto si corre per non perderlo. Un secondo posto vale come una vittoria: basti vedere come corre e ha corso Andy Schleck. Il terzo idem come sopra. Non parliamo di quelli che corrono con il coltello fra i denti per rimediare un quarto, un quinto, un sesto posto, che vale una stagione, una carriera, un rinnovo contrattuale con tanto di ritocchino. Il Tour sarà il Tour, ma questo è anche il suo limite: bello ed evidente. Al Giro nessuno si sognerebbe di difendere un sesto posto con tanta foga. Al diavolo il piazzamento: si attacca e si cerca di vincere. Vada come vada. Al Tour no. «Sono felice, perché ho fatto una grande tappa ­ spiega Schleck -. Ho cercato fino all’ultimo di vincere questo Tour, però Alberto è un grande campione e io mi accontento della tappa regina e di arrivare appena dietro di lui».
Nicolas Sarkozy, il presidente di Francia, che per la terza volta da quando è presidente di Francia ha seguito una tappa del Tour sulla vettura del direttore Christian Prdudhomme, si dice entusiasta, ma precisa: «Lo spettacolo migliore, oggi, l’ha offerto il pubblico». Baci e abbracci dopo il traguardo. Bravò bravò bravò. Schleck si prende il Tourmalet e Contador si prendere il Tour. «A me va bene così: io sono felice. Il mio Tour è ormai in cassaforte», dice sereno lo spagnolo che, nonostante abbia soli 8” di vantaggio sul lussemburghese, conta sulla crono di domani per sistemare gli ultimi dettagli prima della festa. Dopo le grandi fatiche pirenaiche, il Tour si concede oggi una giornata di trasferimento. Da Salies-de-Béarn - città termale e del sale, a metà strada tra Pau e Biarritz -, a Bordeaux, lungo i 198 km in programma.

Tappa piatta, con due traguardi volanti a punti e un arrivo adatto a Mark Cavendish e al nostro Alessandro Petacchi, sempre che abbia smaltito le fatiche pirenaiche e abbia digerito l’avviso di garanzia giuntogli da Padova (accusa di doping) dal pm Roberti, e dal quale si dovrà recare mercoledì prossimo. Prima però c’è la volata di Bordeaux e una maglia verde da riconquistare: sempre che ne abbia voglia.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica