Che sapore antico in un dizionario di proverbi! E in verità nella breve presentazione del loro Grande Dizionario dei proverbi italiani edito da Zanichelli (pagg. 992, euro 48) che ne contiene ben 11mila, Paola Guazzotti e Maria Federica Oddera dichiarano esplicitamente che il genere letterario raccolto nellopera è piuttosto superato. Sembra infatti che di proverbi non se ne producano più: come se la saggezza popolare fosse scomparsa. Per quanto riguarda una delle due grandi tipologie nelle quali si è soliti dividere questi concentrati di sapienza tradizionale, non ne siamo affatto sorpresi. Mi riferisco a tutte le frasi utilizzate per tramandare i saperi relativi al tempo atmosferico e alle coltivazioni, alle attività legate alle fasi della luna e agli obblighi che le stagioni imponevano alla società contadina. «Rosso di sera bel tempo si spera» e «Se piove allAscensione va ogni cosa in perdizione» la fanno da padroni nel genere, ma gli esempi sono moltissimi. A ragione le autrici sottolineano che spesso lo stesso significato di queste frasi è scomparso o è sul punto di farlo. Non riusciamo più a capire con esattezza cosa significhino, tanto diverso è il contesto nel quale viviamo rispetto a quello che le aveva prodotte.
A cadere in disuso e soprattutto a non avere più un humus nel quale nascere è lintero genere della sapienzialità popolare. I proverbi sono quelli che sono, non se ne ascoltano di nuovi in giro. Le frasi fatte dei dialoghi quotidiani sono piuttosto quelle della televisione. Il parlar per proverbi è tipico della saggezza che proviene dal basso, di una espressione che utilizza questo tipo di fonti quasi in sostituzione dellarticolazione di un pensiero proprio. Cervantes ha caratterizzato in questo modo il parlare di Sancho Panza, che affastella proverbi uno dopo laltro costruendo così lunghi sproloqui, sempre più assurdi e autocontraddittori, che Don Chisciotte fatica a bloccare. Proprio chi non è padrone del linguaggio utilizza frasi fatte per esprimersi attraverso una retorica minimalista, senza strumenti alti ma in costante ricorso ad un sentito dire diffuso e riconosciuto.
Le nuove acquisizioni linguistiche degli ultimi anni provengono dal video, che costruisce e impone una lingua di poche parole che danno luogo a un basso numero di combinazioni ripetute allinfinito. Conseguendo in questo modo, forse lunico possibile, lunificazione linguistica. È chiaro infatti che una lingua prodotta da pochi è per forza più povera di quella nata da una società intera che si esprime tutta. Quella attuale è una forma di alfabetizzazione contraria allimpiego di formule concise e in qualche modo sapienziali.
Che i proverbi contengano saggezza è poi tutto da vedere. Già i primi due esempi offerti dal Grande Dizionario ci mettono dei dubbi: «A barba di pazzo rasoio ardito» e «A barba folle rasoio molle». Neppure per il Tommaseo, chiamato dalle autrici a districare il bandolo della matassa e a spiegare questa doppia vicenda di rasature, la faccenda appare chiara più di tanto.
Scorrere le pagine di questo volume ha perciò il gusto di una visita un po retrò, come in quegli scavi archeologici effettuati a metà dellOttocento e in seguito non curati a sufficienza, dove ci si aggira in pochi senza capir molto di quello che si vede ma sempre nella speranza, a volte persino soddisfatta, di incontrare qualche pezzo interessante. «A San Giusto le galline hanno il culo frusto» significa che dopo ottobre la produzione di uova diminuisce; «Uno ha le voci, laltro le noci» è un modo sintetico per dire che a qualcuno sono toccate le promesse mentre la sostanza è andata a qualcun altro; «A voler che il mento balli, alle man gna fare i calli» vuol dire che per masticare qualcosa occorre darsi da fare, una variante del classico «Chi non lavora, non mangia».
Le autrici hanno organizzato i proverbi nel volume sia per parole chiave, sia in ordine alfabetico.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.