Mucciante, il capo di Radio 2, ha fatto la designazione: torni Alto Gradimento, quarant’anni dopo, e venga affidato a Piero Chiambretti.
Qui si rende necessaria la replica del diretto interessato. Dovrei svignarmela con la storia del legittimo impedimento, lo stesso designato cerca di ostacolare l’intervista: «Lei non dovrebbe, non potrebbe, si tratta di conflitto di interessi, Lei lavora anche con me».
Non facciamo i furbi, veniamo alla polpa, alla sostanza, senza genuflessioni. Che ne pensa?
«Le parole di Mucciante sono un atto di amore, mi inorgogliscono. Alto Gradimento è stata la madre (direi meglio il padre, ndr) di tutti i programmi radiofonici comici e surreali, il capostipite delle trasmissioni radio che ascoltiamo oggi».
Lei che cosa faceva quando Arbore e Boncompagni se la spassavano in radio?
«Sono nato con Alto Gradimento e poi sono diventato amico di Renzo e di Gianni. Un po’ come un calciatore che passa dall’oratorio alla marcatura di Maradona. Radio 2 era per me inavvicinabile»
A parte la mozione del sentimento che cosa era Alto Gradimento per uno come lei?
«L’ascoltavo soltanto d’estate, quando andavo a trovare mio zio a Gargallo».
Gargallo? Piemonte, Borgomanero, Gozzano nel senso del paese non dello scrittore, quello della signorina Felicita, proprio il nome della mamma di Chiambretti, ma questa è un’altra storia. Allora lo zio?
«Ettore Pricco, una leggenda, maestro di scuola, il terrore di Gargallo per come faceva roteare e poi usava a sciabola la bacchetta sulla lavagna. A tavola, era settembre, potevo ascoltare il rumore, come lo definiva lui a bacchetta ferma, della radio, era Alto Gradimento».
E chi era di suo gradimento?
«Io vado contro corrente. L’ascoltavo per la musica, non per le gags. Avevo già un buon orecchio, ricordo ancora la prima volta di My sweet lord, di George Harrison. Poi c’erano Scarpantibus, la Sgarambona, Marenco, Catenacci ma io ero attratto dalla musica anche perché esisteva una specie di embargo alle canzoni che venivano da lontano e quella trasmissione, così leggera, era affascinante. Mi piacevano i personaggi più vicini alla realtà, il funzionario della Rai, il dottor Marsala».
Scommetto che lei, di nascosto da zio Ettore, si metteva a imitare Arbore e Boncompagni.
«Adesso ve la racconto. Avevo nove, dieci anni e mi avevano regalato un registratore Geloso, quello con i tasti rossi e blu. Mettevo un vinile sul giradischi, schiacciavo il pulsante del registratore, prendevo in mano il microfono e recitavo da deejay, con dedica annessa agli amici del quartiere».
Era un Chiambretti day.
«Poi prendevo la bobina, scendevo ai giardini di via Cristoforo Colombo, a Torino, qui c’era un chiosco che vendeva gelati e aveva una strana tromba, come quella dei grammofoni. Collegavo i miei arnesi alla tromba che incominciava a diffondere musica magica e parole mie».
E la radio oggi?
«È lo strumento migliore di comunicazione, libera l’immaginazione ma ha perso il gusto e il privilegio della parola, ne utilizza cento in tutto, invece di promuovere la lingua italiana ne ha abbassato la qualità».
Ne parla da esperto.
«Ho una formazione radiofonica molto precisa. Sono cresciuto a pane e radio Luxembourg, poi con quelle americane, di New York. Ho l’impressione che oggi chi fa la radio pensi di farlo con la mano sinistra, tanto la gente non sa chi sei e l’audience non ti opprime».
E così ha scelto la tivvù.
«La televisione è una mantide del piacere che ti soffoca».
Sembra Bonolis, si spieghi.
«Ti garantisce la popolarità. Prendete i deejay della radio, sono frustrati, nessuno sa che faccia abbiano».
Totale: se le offrissero di condurre Alto Gradimento?
«Sono impegnato con Chiambrettopoli, pensavo a una passeggiata ma sono sfinito. Poi ho la televisione. Le cose vanno fatte con impegno vero, serio, continuo».
Non ha risposto.
«Magari un giorno, chissà. Potrei lavorare per una serie di eventi, il festival di Sanremo, così qualcuno si arrabbia, il giro d’Italia, si arrabbia qualcun altro, i mondiali, sperando che l’Italia non faccia come stavolta».
Ma lei, Chiambretti, ascolta la radio o no?
«Quando sono in
Dunque Radio Maria in secula seculorum.
«A forza di pregare si fanno sentire. Hanno santi in paradiso».
Poteva risparmiarsela.
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