da Sanremo
Scusi, Chiambretti. Ma chi glielo ha fatto fare?
«Lei si sbaglia. Io non sono il tipo che vive di rimorsi, di rimpianti»
Quindi rifarebbe tutto, dall’inizio alla fine?
«Non sarebbe elegante dire oggi: ah se l’avessi saputo l’avrei evitato. No, io sono contento».
Contento?
«Sì. Sfido un altro comico, guastafeste, intrattenitore, a costruire un prodotto e tenerlo in vita per una settimana dentro una situazione psicologica come quella che ci ha accompagnato. Fisicamente e mentalmente sono felice».
Felice di questo flop?
«Non nego che sarebbe stato meglio per tutti riscuotere una cifra di ascolti superiore, ma so anche che è stato fatto tutto il possibile per dare il massimo».
Ma si rende anche conto che si poteva e si dovrà fare meglio, di sicuro in modo e con persone diverse...
«Se allude a Baudo le dico che lui ha lavorato per otto mesi andando porta a porta, a convincere discografici e cantanti, a stimolarli perché portassero un loro brano. È stato il testimone di Geova. Non credo che ci sia sul mercato un altro capace di ricoprire il ruolo di direttore artistico come sa fare Pippo, ripeto nessuno».
Ma non ha trovato nemmeno un difetto?
«Io sono stato d’accordo sulla formula delle due ragazze da affiancare ai conduttori. Ma questo ha raddoppiato i tempi, ha allungato le serate. Il Festival deve snellirsi, ecco dove avrei dovuto insistere di più».
E la sua competenza musicale?
«A casa ho 15mila dischi, amo la musica ma questo non mi autorizza a considerarmi esperto come lo è incredibilmente Baudo. Dovevate vederlo dietro le quinte, seduto all’angolo come un pugile, intuire una nota alta, una bassa, coinvolgerci tutti».
Baudo santo subito?
«No, è ingombrante, lo so, un armadio a quattro stagioni, io sono un comodino».
Un armadio da spostare...
«Il primo problema del Festival non è il presentatore. Prima di cambiare il direttore artistico, bisogna cambiare il comune di Sanremo, ci vuole la convenzione di Ginevra e non la convenzione con il comune. Prima cambiano loro poi si può pensare a rifare il gioco. Qui manca il pallone, non si conosce il risultato e la partita dura cinque sere. Ma siamo matti?».
Che cosa avrebbe voluto fare che non ha potuto fare?
«L’angelo. Sterminatore. Sognavo di volare sul pubblico dell’Ariston, lungo il teatro, poi verso il palcoscenico e la tribuna della giuria. Problemi tecnici e di costi me lo hanno impedito. Meglio così, quell’angelo del 1997 deve restare immagine immacolata».
Prima angelo in aria, poi il dopofestival, quindi la conduzione con Pippo. Prossimamente?
«Gli elogi mi fanno piacere ma non credo di potermi ripresentare l’anno prossimo. Il Festival è faticoso, ci vogliono mesi e mesi di preparazione e io con Markette ho il mio spazio, il mio impegno su La7. Non ho la forza fisica per il doppio lavoro».
Guferà allora?
«No, tiferò per il Festival che però dovrà essere rivisto. Non capisco perché le grandi dive possano rifarsi le tette e il Festival non possa rifarsi il culo».
Da domani trattative aperte per studiare un nuovo festival. Ci sarà anche lei?
«Posso essere utile come uno caduto sul campo».
E il Dopofestival?
«Quello sì, divertente, facile, protetto, come bere un bicchier d’acqua».
Elio ha avuto ascolti inferiori a lei però ha ricevuto grandi ringraziamenti.
«Hanno fatto il loro lavoro sporco, giocando con le note mentre io giocavo con le parole. Il mio era coeso con il Festival».
Che cosa non le è piaciuto?
«L’accanimento nei nostri confronti. So che in sala stampa voi giornalisti partecipavate ogni sera con passione, gioia, battendo le mani, ridendo, cantando. Poi nei vostri articoli c’era una specie di sdoppiamento, un’altra realtà. Uno scollamento esagerato».
Se Del Noce le chiedesse di sedersi al suo fianco in prima fila al prossimo Festival?
«No, io sono da piccionaia, la prima fila mai. Mi piace tirare le uova».
È finita.
«No, oggi vado allo stadio di Marassi con Del Noce, tifiamo Toro contro la Sampdoria. Novellino mi ha detto che giocheremo con il 4 4 2. Speriamo che vada meglio. Meglio di qui».
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