da Milano
Chiambretti è sempre Chiambretti e quindi vai a capire fin dove parla sul serio e dove inizia a giocherellare con quellesprit umoristico che fa di lui, piaccia o no, il David Letterman italiano, fulminante anche quando non vorrebbe e mai conciliante neppure volendo.
Di sicuro il suo momento è quello doro, visto che martedì ritorna a matare la sesta edizione di Markette su La7 e poi, dal 27 febbraio al 2 marzo, sarà il padrone di casa del Dopofestival. «Se sarò al Festival è perché ho fatto Markette» dice lui chiudendo il cerchio dopo quasi un lustro di attriti. Nel 2003, si sa, era alla Rai, anzi era uno dei volti di punta della Rai ma «a un certo punto mi sono girato ed ero rimasto da solo». E così è rimasto, visto che nessuno, come spesso accade da quelle parti, ha mai spiegato il benservito. «Ora però - dice lui a capotavola in un ristorante della Milano più lussuosa - non ho mai visto i dirigenti Rai così gentili, sembra di essere a La7». Sarà per questo che, sempre alludendo tra il serio e il faceto, gli piacerebbe molto andare e tornare, cioè «fare Markette e poi seguire qualche evento in Rai». Daltronde è quello che sta facendo, con il benestare del direttore Antonio Campo DallOrto, assai soddisfatto perché Markette è «andato oltre ogni aspettativa di ascolti» (media stagionale del 4 per cento di share, picchi del 7,6). Intanto chi segue le aspettative è proprio Chiambretti: stupisce comunque. Perciò Markette conferma il suo cast (da Costantino della Gherardesca a Vladimir Luxuria) e la sua linea, che è quella di provocare anche a costo di cadere o inciampare nel grottesco o nel kitsch. E il Dopofestival (soppresso a suo tempo per eccesso di trash) torna alle origini perché «la provocazione in tv oggi è essere normali». Intanto, a ciascuna delle puntate «penserò solo nei quindici minuti che separano la fine del Festival dallinizio del mio show». Quindi discussioni con i giornalisti, chiacchiere con gli ospiti, sketch con Gabriella Germani, canzoni con lo strepitoso Gennaro Cosmo Parlato e ascolti dei brani esclusi (compresi quelli degli intellettualoni convertiti alla canzonetta come la Hack o la Merini).
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