Chiamparino come il Toro, in saldo

di Piero Chiambretti

Torino che passione. Potrei incominciare così, come si usava un tempo. Mi spiego: si può essere innamorati di persone, di cose, di animali; io, di Augusta Taurinorum. La città ai piedi della Fiat che mi ha cresciuto, la città non la Fiat, come ha potuto e saputo negli anni Sessanta. È molto cambiata la prima Capitale d’Italia, è cambiata da quando, con i calzoni corti, andavo a giocare in Piazza d’armi, una distesa di polvere, con montagne di sabbia utilizzate per le esercitazioni militari dei carri armati, a due passi dallo stadio Comunale.
Oggi lì c’è il braciere Olimpico dei giochi invernali del 2006, intorno al quale un’isola strana che sembra la Svizzera: giardini, fontane, isole pedonali, piste ciclabili, bandiere al vento. Gli anziani giocano a frisbee, i cani sono tutti di razza. È questo lo specchio di una città post Olimpiade che corre con il suo treno a 300 all’ora verso Milano, in 50 minuti.
In meno della metà del tempo, sempre a Milano, si mormora che il malumore nel capoluogo piemontese cresca giorno dopo giorno.
La gente per strada corre via senza salutare, nei bar i gentili baristi di un tempo, ti prendono a calci in culo se chiedi un caffè macchiato, nei negozi la parola «grazie» è stata abolita.
La caccia all’uomo cominciata con Luciano Moggi oggi è stata ufficialmente aperta anche per Blanc, Secco, Elkann (va bene qualunque rappresentante della famiglia), Cairo, Marchionne e se fosse ancora vivo, Macario.
La crisi economica attanaglia l’industria, la Fiat è in vendita, l’Einaudi è in vendita, la Juventus è in vendita, La Stampa è in vendita, il Toro è in vendita, anche a rate (e da quando è in vendita vinciamo). Insomma, Torino sembra una città in saldo. Gli annunci sui giornali non li ho ancora visti, ma intanto metto da parte i soldi per comprarmi, se non tutta la Iveco, almeno il cancello numero 5 di Mirafiori.
Sembra impossibile che da modello di efficienza e qualità della vita, Torino, come sulle montagne russe, sia piombata dalle stelle, all’ufficio dei pegni. Succede.


Lavoro a Milano, fatico a sentir parlar male della mia città, specialmente quando sono in trasferta; incasso con eleganza e penso alla faccia del mio amico Sergio Chiamparino. Ricorda da vicino quella di Sergio Endrigo: fiera e perennemente in cerca di una uscita.

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