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La chiesa cattolica costruita dagli italiani. Il generale Abagnara: "Ne siamo orgogliosi"

Il luogo di culto vicino a una moschea nel Paese dove convivono diciotto fedi

La chiesa cattolica costruita dagli italiani. Il generale Abagnara: "Ne siamo orgogliosi"

da Shama (Libano)

Passeggiando per il centro di Beirut ti imbatti in una grande moschea, ti soffermi ad ammirare i suoi minareti e le sue cupole azzurre. Sembra tutto normale per un Paese in cui la percentuale più alta di credenti è di fede musulmana. Tutto finché non ti accorgi che nel cuore della Svizzera del Medio Oriente, attaccata al luogo di culto islamico, vi è una chiesa il cui campanile si innalza a ombreggiare le rovine di un tempio pagano. Il Libano è così, è la terra che riesce a far convivere culture e religioni diverse.

Lo dimostra il fatto che all'interno della base italiana di Shama, dove opera quella missione Unifil, che ha il quartier generale a Naqoura, oggi è comandata dal generale dell'esercito Stefano Del Col, è in corso di realizzazione la prima chiesa cattolica esistente tra Sidone e il confine Sud.

I tempi delle tensioni, dei razzi lanciati da Hezbollah verso Israele e dei bombardamenti dei militari di Tel Aviv verso il Paese dei cedri sono lontani, anche se è ancora palpabile la tensione lungo la blue line, la linea di interposizione presidiata dagli uomini del contingente italiano. Eppure in questo clima di «protezione», di lembo di terra cuscinetto volto a evitare possibili riacutizzarsi di scontri, una brigata del Sud, la Garibaldi, è riuscita a compiere il miracolo.

Sono lontani i tempi in cui i giornalisti in visita al contingente erano costretti a muoversi con giubbotto antiproiettile ed elmetto. Oggi per il Libano ci si muove liberamente. E la realizzazione della chiesa, che potrà ospitare circa 200 persone, tra posti a sedere e in piedi e che sarà inaugurata il prossimo 18 marzo alla presenza delle più alte cariche civili e militari, tra cui l'ordinario militare per l'Italia, don Santo Marcianò, ne è la dimostrazione. Un evento così importante che ha interessato anche il Vaticano. Don Claudio Mancusi, il cappellano militare, non sta più nella pelle. I suoi occhi brillano quando l'ingegner Salvatore Tafuro, presidente della RI, un'impresa di Trepuzzi, in provincia di Lecce, che sta realizzando la struttura, gli annuncia che suo figlio Antonio ha realizzato e donerà i quadri che raffigurano le tappe della via Crucis.

«Qui - racconta il comandante della Garibaldi, generale Diodato Abagnara - siamo davvero riusciti a compiere un piccolo miracolo. Ci è stato concesso di realizzare questa chiesa, la prima in questa regione. Qui la religione ha un ruolo importante. Ci sono 18 diversi credo che riescono a convivere». Il generale lo spiega con orgoglio: «Quello che Tafuro ci sta dando è un aiuto da italiano a italiano». Il Libano di oggi somiglia al Bel Paese negli anni Sessanta e Settanta, vive un momento di splendore e positività, quello delle terre in rinascita.

La vicina Tiro, in cui si possono ammirare le rovine di epoca romana e dei tempi di Alessandro Magno, ne è la dimostrazione. La gente del posto ha aperto piccoli ristoranti, alberghi caratteristici che si affacciano sul mare e locali che somigliano molto a quelli dell'Italia, dei Paesi del Mediterraneo che scalda coi suoi colori accesi. Ce lo ha raccontato anche il prefetto della città, Mohammad Jaffal: «Abbiamo progetti per salvaguardare la nostra storia millenaria. I nostri beni archeologici sono un bene prezioso. Vorremmo far sì che qui arrivasse turismo anche da fuori. Dobbiamo ringraziare gli italiani, ci hanno dato tanto. I vostri militari sono eccezionali».

Lo conferma il generale Abagnara: «Questa gente ci ama molto. Ed è vero che è un territorio che somiglia al nostro Sud. Rivedo in questi luoghi le tradizioni di dove sono cresciuto e questo mi fa credere ancora di più che sia possibile fare meglio. Qui - prosegue - sono ancora radicati quei sani principi che sono il rispetto reciproco, la voglia di ricominciare. Se poi vince il cuore si ha successo su tutta la linea». Lo si capisce guardando lo scambio di battute tra il generale e l'ingegner Tafuro, un imprenditore che come molti italiani si è fatto da solo, crescendo un'azienda familiare che ora lavora per la Difesa e per le Nazioni Unite in tutto il mondo. E che usa quella stessa perfezione che la missione italiana sta mettendo nei progetti, che sostiene donne e bambini, gli orfanotrofi e ha anche garantito le reti idrica ed elettrica ad alcuni villaggi. E poi c'è l'addestramento delle Laf, le forze armate libanesi, i cui uomini stanno ai check point con i nostri militari. Un risultato ottenuto in anni di duro lavoro.

Certo, le difficoltà ci sono, soprattutto quelle di dover evitare ogni tipo di escalation lungo la blue line. Perché fra Libano e Israele ci sono ancora troppi rancori e la pace tra i due Paesi è ancora lontana. Lo conferma la gente: «Ci hanno fatto troppo male. Troppi morti, troppo dolore».

Una contraddizione per un luogo in cui, di contro, convivono credo tanto diversi tra loro. Per questo c'è una presenza capillare dei nostri soldati, impegnati a garantire la pace 24 ore su 24. Ma nel resto del Libano è tutto un fiorire. Ed è bello, bellissimo, pensare che alla rinascita abbiamo contribuito, in gran parte, anche noi.

Perché, questo è innegabile, il cuore degli italiani è un po' più grande di quello degli altri.

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