La Chiesa condanna la promiscuità

Le stesse polemiche che in questi giorni colpiscono Benedetto XVI avevano accolto Giovanni Paolo II a San Francisco nel 1987. In realtà la dottrina morale della Chiesa non è mai cambiata: fondamento di questa è il matrimonio

La Chiesa condanna la promiscuità

Roma - "La posizione della Chiesa in merito all’uso del preservativo come prevenzione dell’Aids non è cambiata, resta quella di Giovanni Paolo II", ha dichiarato oggi a Yaoundè il portavoce vaticano padre Federico Lombardi sommerso dalla marea montante delle polemiche suscitate dalla frettolosa sintesi diffusa ieri dai media circa le affermazioni fatte dal Papa sull’aereo che lo portava in Africa. E non è bastato nemmeno diffondere il testo integrale delle dichiarazioni, che escludevano qualunque nuova condanna e si basavano sull’esperienza concreta dei cattolici impegnati nella lotta all’Aids.

Polemiche su papa Giovanni Paolo II Le stesse polemiche, d’altra parte, avevano accolto Giovanni Paolo II a San Francisco nel 1987 e anche in quel caso non ci fu nulla da fare per frenarle, nemmeno bastò che il Papa abbracciasse e baciasse un bambino malato di Aids. Fuori dal Centro visitato dal Pontefice polacco, infatti, gay e lesbiche vestiti da "papa" distribuivano condom come fossero caramelle ai passanti. Ed è proprio questo che la Chiesa non vuole fare: distribuire essa stessa i condom. Un rifiuto che davvero non ne impedisce il libero commercio, anche in Africa. Quanto a verificare se questi mezzi poi sono sufficienti a eradicare l’Aids, il problema resta aperto: i medici cattolici, ad esempio, sono d’accordo con Ratzinger e dicono di no, avvertendo anzi che il preservativo può dare una falsa sicurezza e quindi ha l’effetto di favoreire i rapporti promiscui e finisce così con il favorire anche la diffusione dell’Aids.

La dottrina morale della Chiesa Il problema riguardo al "no" ribadito dal Vaticano però è un altro, sganciato dagli effetti pratici del condom sull’epidemia: la Chiesa ha legittimamente una sua dottrina morale sul matrimonio, unico luogo lecito per i rapporti sessuali e distribuire i condom confliggerebbe proprio con il Catechismo che al numero 2391 recita: "L’unione carnale è moralmente legittima solo quando tra l’uomo e la donna si sia instaurata una comunità di vita definitiva. L’amore umano non ammette la prova. Esige un dono totale e definitivo delle persone tra loro". Inoltre, per il Catechismo (come per l’enciclica Humanae Vitae e il Magistero convergente degli ultimi papi) è "intrinsecamente cattiva ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione". Sono questi in realtà i termini del problema.

La posizione dei teologi Alcuni teologi, vescovi e cardinali, tra i quali l’ex arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, hanno però sostenuto la liceità del preservativo se utilizzato all’interno di una coppia sposata, quando uno dei coniugi è sieropositivo e non può sottrarsi ai doveri coniugali. Ed è solo cosa fare in questa disgraziata eventualità che divide dalla dottrina tradizionale quanti nella Chiesa sostengono la linea più morbida. "Non sarà la Chiesa a promuovere il profilattico" e su questo punto non possono esserci posizioni diverse, ha assicurato qualche mese fa il cardinale Javier Lozano Barragan, presidente del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, sottolineando che fuori dal matrimonio i rapporti sessuali non sono mai leciti e dunque il problema non è il condom. Su questo, ha rilevato, c’è identità di vedute anche con l’ex arcivescovo di Milano. Quanto all’ipotesi di un pronunciamento in merito, che sembra ora piuttosto improbabile, Barragan ha spiegato: "Abbiamo chiesto ai nostri teologi ed ai nostri consultori di condurre uno studio su questo punto specifico, se cioè all’ interno di una coppia di cui uno dei due coniugi si è infettato può essere lecito l’uso. Al termine daremo le nostre conclusioni al Papa e lui dirà cosa è più conveniente fare".

Il cardinale messicano ha raccontato che anche Giovanni Paolo II era preoccupato della piaga dell’Aids ma ha precisato che sarà ora Benedetto XVI a decidere se pronunciarsi su questo problema, con un documento che, dunque, "potrebbe esserci come non esserci".

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