nostro inviato allAquila
Il governatore arriva con un po di ritardo, ma nessuno gli contesta nulla. Ci mancherebbe altro: poche ore di sonno, stress accumulato da mesi... Gianni Chiodi si siede al centro del salone, in un albergo del centro, e spulcia il foglietto con gli appunti. Parla a metà mattinata, per la prima volta - ora è ufficiale - da «sindaco di tutti gli abruzzesi». Spiega che «è stata premiata una coalizione coerente», assicura il pieno coinvolgimento delle realtà presenti sul territorio, annuncia la nascita del «tavolo delle responsabilità».
Va avanti col suo passo, senza strappi, prima di mollare il freno a mano e assestare un bel fendente al Pd di Walter Veltroni. Intanto, qualcuno, in conferenza stampa, gli ricorda che i titoli dei giornali, ieri, mettevano insieme la sua vittoria con larresto del sindaco di Pescara, Luciano DAlfonso.
Chiodi prepara lattacco, ma parte da lontano. E in prima istanza si limita a esprimere la propria solidarietà al segretario regionale del Pd: «Spero che riuscirà a provare la sua estraneità». È il «garantismo» che è in lui a spingerlo in questa direzione, tra «sentimento di umanità e rispetto della Costituzione». Si dice quindi «perplesso», poi calibra il tiro: «Se DAlfonso è caduto nel malaffare, per me sarebbe una delusione enorme. Certo, se la giustizia provasse la verità delle accuse, il vulnus per i cittadini sarebbe enorme, ma è anche vero il contrario». E poi, «so, per averlo vissuto sulla mia pelle, cosa significa trovarsi da sindaco in certe situazioni». Quindi, bisogna essere «prudenti», perché può anche succedere che un politico riceva un avviso di garanzia e, sette anni dopo, venga completamente assolto, «come già avvenuto in Abruzzo».
Ma come la mettiamo con le giunte locali amministrate dal Pd, coinvolte da mesi in continue inchieste giudiziarie? Chiodi raccoglie lassist: «Penso sia chiaro a tutti che in Italia è crollata quella presunta superiorità morale che la sinistra si attribuisce. Insomma, si è finalmente capito che si possono trovare persone di malaffare anche nel centrosinistra». Dunque, «quel feticcio tanto sbandierato» dai democratici «è morto e defunto». E «Veltroni deve farsi un bellesame di coscienza».
Chiodi ci prende gusto. E passa dalla questione morale alla disfatta elettorale. «La strategia di Veltroni allinizio era molto valida, perché basata sulla legittimazione dellavversario. Ma alla prima occasione, qui in Abruzzo, ha fatto un passo indietro. Anzi, ne ha fatti due. Ha disatteso la sua vocazione, alleandosi con Di Pietro nella speranza di trarne un vantaggio, ed è stato massacrato. La sua, tanto per capirci, non è stata una scelta coraggiosa, ma disperata».
«Se il Pd vuole andare avanti - continua Chiodi - deve rifiutare labbraccio mortale dei partiti del ventre, che parlano alla pancia e non alla testa, che si esprimono attraverso un moralismo ipocrita». Un esempio? «LIdv ne è il migliore interprete». Il Pd ponderi quindi bene e segua il suo percorso naturale.
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