«Chiusi i conti esteri con lo scudo fiscale»

Enrico Lagattolla

da Milano

«Solo una consulenza». Così rispondeva Giovanni Consorte ai magistrati milanesi. E lo stesso aveva fatto, due giorni prima, il finanziere bresciano Emilio «Chicco» Gnutti. «Denaro versato per una consulenza». Cinquanta milioni di euro, e una sintonia a cui gli inquirenti credono poco. Ma per il presidente dimissionario di Unipol - meglio, per i suoi legali, che entro una settimana presenteranno una «memoria dettagliata» - si tratta di «un’attività pienamente lecita». «Al momento l’ingegner Giovanni Consorte - fa sapere l’avvocato Filippo Sgubbi, uno dei difensori - non ha più alcun fondo all’estero», perché quei fondi «sono rientrati in Italia attraverso lo scudo fiscale».
Come a dire, tutto alla luce del sole. O quasi. L’ormai ex numero uno di via Stalingrado, cioè, avrebbe «sanato» la propria posizione fiscale, versando all’erario una piccola percentuale di quella transazione (il 2,5 per cento). Ma, soprattutto, ne avrebbe tutelato la provenienza attraverso lo strumento (previsto per legge) della «dichiarazione riservata».
E se la Procura ipotizza un legame tra il denaro piovuto su Consorte (e su Gnutti) e la vendita di Telecom a Tronchetti Provera, Sgubbi conferma. Quei 50 milioni di euro nascono effettivamente dall’«affare Telecom» ma, secondo il legale, non hanno nulla di illecito. Il denaro che il presidente e amministratore delegato di Hopa (indagato dai magistrati milanesi per il tentativo di scalata ad Antonveneta da parte della Bpi di Gianpiero Fiorani) ha effettivamente versato al presidente dimissionario di Unipol (poi spartito col vice Ivano Sacchetti), sarebbe «legato solo alle consulenze effettuate dall’ingegnere nella vicenda Telecom, nel corso di tre anni». Non solo, si tratterebbe di fondi «inferiori all’importo riportato dai giornali, ben al di sotto di 50 milioni di euro. Stiamo ancora facendo i conti».
E ha negato, Consorte, di aver avuto un ruolo nell’«assalto» alla banca padovana. Anzi. Primo, nessun collegamento con il conto cifrato di Montecarlo di cui aveva parlato Bruno Bertagnoli, ex agente di Borsa, sentito lunedì scorso dagli inquirenti. L’uomo del «Canaletto» (l’intestatario del quadro ritrovato in una cassetta di sicurezza dell’istituto lodigiano), indagato per ricettazione e riciclaggio, «non lo conosco». Poi, ha spiegato ai magistrati (che ipotizzano il concorso in aggiotaggio con Fiorani) che «Unipol non ha mai avuto nulla a che vedere con la scalata ad Antonveneta».

E si scopre che la compagnia bolognese se ne sarebbe «tenuta lontana» e - in forza della propria partecipazione nella holding di Gnutti, di cui detiene il 7 per cento - si sarebbe «opposta alla partecipazione di Hopa all’offerta pubblica di acquisto, intervenendo direttamente anche con Emilio Gnutti». Ma senza chiarire né quando, né come.

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