«Chrysler e Lancia sono fatte l’una per l’altra»

nostro inviato a Detroit

Non è facile seguire i ritmi impressionanti che Sergio Marchionne, nel suo doppio ruolo di amministratore delegato della Fiat e della Chrysler, si è posto. Ma una volta fatta l’abitudine, alzarsi tutte le mattine tra le 4 e le 4 e mezza, e cominciare la giornata trovando insieme al caffè e all’inseparabile sigaretta due Blackberry sul comodino, uno tarato sull’orario italiano e l’altro sul fuso americano, «può essere anche divertente». Questione di opinioni, diremmo noi.
Eppure, quando dal salottino ricavato nello stand della Chrysler allargato al gruppo Fiat, Olivier François ci descrive la sua giornata tipo, traspare tutta la forza e l’entusiasmo che Marchionne è riuscito a trasmettere ai manager della sua squadra. François, in proposito, ai cappelli di amministratore delegato della Lancia e di responsabile del marketing di Fiat Group Automobiles, ha aggiunto quello di presidente del marchio Chrysler. Significa, come spiega al Giornale il manager francese, «che ogni mese trascorro 15 giorni in America e 15 in Italia».
L’entusiamo, dunque, non manca nonostante una vita, a mio parere, d’inferno...
«Ho capito come vive il mio capo. Se vive come me, vive bene: ci divertiamo tantissimo nel lavoro».
Non è facile, comunque, con tutti questi incarichi...
«Devo gestire la comunicazione di otto marchi: quattro qui negli Usa e altrettanti di là dall’Atlantico. Questo lavoro non sarebbe facile se non avessi la fortuna di guidare due marchi, Lancia e Chrysler, con una certa comunanza. La presenza al Salone di Detroit di una Delta con la griglia Chrysler è proprio per dimostrare questo “vicinanza” e sondare il pubblico».
Come procede l’adattamento alla vita da «americano»?
«Nel mio lavoro faccio leva sulle ricette di successo che ho appreso in Europa. Mi comporto da “spugna”: guardo gli americani come si comportano nella vita quotidiana, al ristorante, alla guida dell’auto, in strada. Osservo con attenzione i miei collaboratori. Voglio entrare nella loro mentalità. In pratica, ripeto quanto ho fatto anni fa quando sono arrivato in Italia».
L’esperienza alla Lancia, un marchio tornato in auge dopo un periodo difficile...
«Ho scoperto il marchio con la curiosità di un bambino e l’ho fatto evolvere senza farmi condizionare, rispettando i valori forti di questo brand».
A Detroit il gruppo Chrysler è presente, con un grosso stand al centro del Salone, senza novità sostanziali. Come cercherete di calamitare l’attenzione del pubblico in mancanza di prodotti nuovi?
«Parto dal caso Lancia, dove si è puntato sui pregi del marchio che non venivano comunicati. E così farò anche qui negli Stati Uniti».
Quindi?
«Prendiamo la Chrysler 300C, vettura che guido tutti i giorni. I punti di forza sono il comfort, la silenziosità e le prestazioni. Insomma, il suo motore a 8 cilindri assicura insieme a un’incredibile dose di potenza, anche i consumi di un 4 cilindri. E poi è la macchina che ha ricevuto più premi in America. Particolari che si danno per scontati, ma che il pubblico magari non conosce. E lo stesso vale per il monovolume Voyager o per il Pt Cruiser, che a Detroit si presenta in chiave un po’ Lancia: bicolore e con gli interni in pelle. Tra un anno, però, la gente vedrà tanti nuovi prodotti».
Come immagina questo stand nel 2011?
«Sarà ricco di novità. Dopo una sorta di traversata nel deserto, voglio stupire».
E l’integrazione tra Lancia e Chrysler?
«Diciamo che è prematuro entrare nei dettagli. Di certo c’è il limite strutturale della Lancia, quello di produrre una gamma di auto piccole e medie. La Chrysler, invece, fa bene i modelli di grandi dimensioni. E il bello è che i pianali dei due marchi possono essere resi complementari»,
Il risultato?
«Da due costruttori specialisti nascerà un vero generalista. Ripeto: Lancia e Chrysler hanno in comune valori stile, innovazione e prestazioni. Sono geneticamente compatibili e si potranno realizzare tante sinergie, anche nel marketing su due continenti diversi».
Ripeterete l’esperimento della Chrysler Delta anche con una Y «americanizzata»?
«È possibile che tale esercizio di stile venga esteso. Vogliamo verificare e studiare le reazioni del pubblico».
Un italiano, Marchionne, alla guida del gruppo Chrysler, e un francese - lei - al vertice di un marchio da sempre simbolo dell’auto a stelle e strisce. Come l’hanno presa gli americani?
«Sinceramente, per quanto mi riguarda, temevo una reazione.

L’ambiente di lavoro si è invece rivelato incredibile, anche se il livello di aspettativa è altissimo. La leadership del dottor Marchionne è talmente forte...».
Capo del marchio Chrysler...
«Non ci avrei mai pensato. Ma a 49 anni ho ancora tanta voglia di imparare».

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