Con Chrysler la nuova ammiraglia Alfa

Uscita dalla porta, Fiat potrebbe rientrare dalla finestra, anche se per ora Sergio Marchionne assiste da spettatore alle nuove puntate della soap opera in salsa tedesca con protagonisti i membri del governo e la partecipazione straordinaria di Volkswagen. Da come si stanno mettendo le cose, infatti, sembra proprio che la telenovela sul salvataggio di Opel sia tutt’altro che conclusa e possa riservare delle sorprese. La lettera d’intenti siglata il 30 maggio tra Berlino e il gruppo Magna prevede la firma entro i primi di luglio e il completamento dell’operazione Opel a settembre. Nelle prossime settimane, a questo punto, si capirà se i contrasti in corso nell’esecutivo di Berlino avranno l’effetto di riaprire realmente i giochi. È indicativa, in proposito, la precisazione del portavoce della Cancelleria: «Il governo tedesco è sempre aperto ad altri candidati per l’acquisto di Opel». Proprio martedì Angela Merkel, dalla quale erano giunti apprezzamenti al piano industriale di Fiat, aveva voluto sottolineare come «Magna non avesse firmato un accordo vincolante con Gm».
Anche il ministro dell’Economia, Karl-Theodor zu Guttenberg, che la scorsa settimana aveva minacciato le dimissioni perché convinto che la cessione di Opel a Magna sarebbe servita in realtà a salvare la russa Gaz, ha affermato che «ci sono due partner che stanno negoziando l’acquisizione; spero che l’accordo possa essere concluso». Una sorta di invito a Fiat a non mollare la presa. «Restano troppe questioni aperte e irrisolte a livello giuridico - ha aggiunto l’economista Rainer Brueder (Fdp) - ed esiste un forte rischio che l’operazione possa naufragare». Opel, intanto, ha ricevuto dallo Stato e dai Länder tedeschi la prima tranche del prestito-ponte da 1,5 miliardi promesso da Berlino per consentire alla casa automobilistica di proseguire le attività. Sono gli stessi 300 milioni richiesti all’ultimo momento dalla casa-madre Gm per coprire un «buco» finanziario di Opel e che Magna si era detta pronta ad anticipare. E anche sul mancato versamento di Magna non sono mancate le polemiche, nonostante l’intervento del ministro delle Finanze, Peer Steinbrueck («il prefinanziamento non è necessario»). Da parte sua il presidente di Magna, Frank Stronach, ha chiesto allo Stato austriaco un’iniezione di 300 milioni come aiuto. Critici sul passaggio di Opel a Magna sono gli analisti svizzeri di Neuro System, società specializzata nei servizi per la Borsa, che intravedono per la casa tedesca «pericoli concreti». Gli esperti osservano che Stronach intende portare sul mercato russo le auto di Opel assieme al suo amico Oleg Deripaska, proprietario del partner Gaz, ma sottolineano la cattiva situazione finanziaria del colosso di Mosca, che ha debiti per 900 milioni di euro e modelli antiquati. Neuro System aggiunge che le auto russe sono così mal viste nel Paese, che alla fine del 2008 il Cremlino si è visto costretto a introdurre elevati dazi su quelle importate. «Se Opel dovesse produrre auto in Europa Occidentale - sostengono gli analisti - sarebbero troppo costose per il mercato locale, ma per ammodernare Gaz mancano i soldi. Una conseguenza logica sarebbe smontare i moderni impianti europei di produzione di Opel e trasferirli in Russia. In questo modo gli operai di quel Paese costruirebbero macchine Opel esenti da dazi e i loro colleghi in Europa si troverebbero di fronte a impianti vuoti». L’allarme lanciato dalla Svizzera non sembra però spaventare più di tanto i sindacalisti di Ig Metall, sempre pro-Magna: «Il previsto ingresso di Magna in Opel è sulla buona strada, anche se il percorso è difficile». I piani di Magna prevedono il ritorno all’utile di Opel solo tra quattro anni grazie a una nuova gamma di prodotti, pronta entro il 2012. La strategia di Marchionne, invece, dopo lo spin-off di Fiat Auto e la creazione di una newco quotata, avrebbe dato origine a uno società subito operativa e priva di debiti.

Sul caso Fiat-Opel è intervenuto anche il premier Silvio Berlusconi: «Non ci è stato chiesto di intervenire - ha spiegato ieri - ma se i vertici Fiat richiedessero un nostro intervento lo faremo. Siamo dei liberali e crediamo che le aziende debbano muoversi nel mercato. Ma vorrei anche sottolineare che non siamo quella merchant bank che aveva fatto di Palazzo Chigi il signor D’Alema».

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